Mi sa tanto che i
Grindhouse ed io abbiamo parecchie cose in comune.
Ci piacciono i
film exploitation, i registi che hanno saputo rivitalizzare e riportare in auge il genere, l’
hard n’ heavy melodico e
anthemico e le voci intense e aitanti.
Con una denominazione come quella selezionata (verosimile omaggio ai
B-movie anni '70 così amati da Quentin Tarantino e Robert Rodriguez … e per ulteriori indizi guardate pure il
video di “Nothing's gonna stop me” …) e la presenza di un certo Michael Bormann alla gestione microfonica, l’ascolto di “Chapter one” si presentava, dunque, come la convalida di presupposti molto intriganti e condivisi, purtroppo parzialmente disattesi alla prova dei fatti.
Nulla di particolarmente “grave”, sia chiaro … il disco è complessivamente gradevole, suonato con energia e perizia, e Bormann è sempre un asso della fonazione modulata, ma alcune piccole carenze in fase compositiva e una certa mancanza di compattezza finiscono per rendere la prestazione meno incisiva di quanto avrebbe potuto essere, tenuto conto delle qualità tecniche degli interpreti e anche di una certa (embrionale) personalità dei musicisti nell’affrontare la materia.
Nella situazione discografica attuale, piuttosto florida nell’ambito operativo dei nostri, per accendere gli entusiasmi degli appassionati è necessario un maggiore coefficiente di penetrazione emotiva, così come essenziale appare la mediazione di linee melodiche veramente catalizzanti, e per arrivare a tale risultato ai Grindhouse manca ancora un pizzico di messa a fuoco espressiva ed esperienza.
Ciò detto, non rimane che rilevare il discreto livello medio di un programma che con “After midnight”, “The stunt”, “The enemy”, "What a night” e con la granitica “The way out” dimostra che la
band ha comunque imboccato la strada “giusta” per il conseguimento del gratificante e ambizioso obiettivo.
Aggiungiamo, infine, una valida trascrizione di un
hit di Rufus & Chaka Khan denominato “Ain’t nobody” e otteniamo un debutto piuttosto interessante, per una formazione che dopo aver dimostrato uno spiccato “buongusto” nella scelta e nella decodifica delle fonti ispirative, è chiamato in futuro a consolidare le sue qualità in una dimensione artistica più consistente e coinvolgente.
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