Talento.
Concetto elusivo, ne convengo, eppure di assoluta centralità quando si discetta di musica. Ebbene, il gruppo di cui narriamo quest’oggi è titolare di una mole di talento assolutamente fuori scala. Per intenderci: è mia ferma convinzione che il 90% dei gruppi metal oggi presenti sulla faccia della Terra venderebbe l’anima in cambio delle doti di cui i
Leprous possono disporre.
Doti, tra l’altro, che si manifestano con fragore assordante in ogni aspetto della loro particolarissima miscela sonora: songwriting, originalità, arrangiamento, tecnica, gusto melodico… l’intero pacchetto, come si dice oltreoceano.
Il rischio, quando si posseggono capacità di tale portata, è quello di rendersene conto, imboccando così il declivio che conduce alla superbia, al virtuosismo fine a se stesso, al peccato capitale di specchiarsi nella propria beltà.
Esattamente quello che, come puntualmente rappresentato dal nostro buon
Alex in sede di recensione, accadeva al pretenzioso
Coal.
I nostri amici norvegesi avranno aggiustato il tiro in occasione del nuovissimo
The Congregation, quinto full lenght della loro sinora brillante carriera?
La risposta, a mio avviso, è il classico
ni.
Appare innegabile che nei solchi di questo platter si annidi una quantità tale di sapienza e arte musicale da far tremare i polsi; al tempo stesso, ad alcuni dei difetti denunciati dal predecessore non si è ancora trovato efficace correttivo.
In ordine sparso:
- l’artwork di copertina fa schifo;
- i suoni, al contrario, sono qualcosa di meraviglioso; un plauso particolare a
Jens Bogren per il mixing, davvero perfetto;
- sotto il profilo del sound ci muoviamo in linea di continuità col recente passato, per quanto in questa occasione si siano sfrangiate le ripetizioni fini a sé stesse e si sia donato ancor più risalto all’elettronica. Un’elettronica dal feeling minimale, ma solo in apparenza gelida: dovrete pazientare un po’ prima che il calibro emotivo dei brani si dispieghi in tutta la sua forza, grazie alla nota strategia del lento (a volte troppo lento) crescendo sino alla deflagrazione drammatica in occasione del chorus.
- del tutto indolore, se non addirittura migliorativo, si è dimostrato il passaggio di proprietà del drumkit: il nuovo arrivato
Baard Kolstad (gran bel nome, tra l’altro) si dimostra elemento di assoluto valore, ed i fuochi d’artificio su un brano come
Rewind sono lì a dimostrarlo.
(Per tranquillizzare gli animi: nulla a che spartire con l’oscenità del
Blasco nazionale; semmai la canzone ricorda qualcosa del padre putativo
Ihsahn);
- pur mantenendo i Nostri un trademark unico e distintivo, qualche similitudine qua e là con quanto proposto da illustri colleghi la si può senz’altro rinvenire.
Mi riferisco all’incipit pianistico di
Moon che, abbinato al drum pattern dal retrogusto quasi
dubstep, non avrebbe sfigurato sull’ultimo album degli
Anathema; alcuni slabbramenti chitarristici sembrano oltremodo prossimi alla famigerata branca
djent; o ancora -liberissimi d'insultarmi-, l’algido tessuto di synth dal groove magnetico che ammanta ogni pezzo (
Red in particolare) continua a suggerirmi parallelismi coi migliori
Muse;
- per altri versi, invece, i cinque scandinavi si confermano realtà fieramente
sui generis all’interno della scena: i riff sincopati dell’opener
The Price e di
Down (entrambe dotate di ritornelli killer), i ghirigori vocali di un
Einar ancor più mostruoso del solito, le plumbee atmosfere latrici di tragedia imminente appartengono ai
Leprous e ai
Leprous soltanto;
- peccato che, a fianco di piccole perle quali
The Flood (percorsa da un beat angoscioso ma irresistibile), e
Lower (crepuscolare semi-ballad che chiude al meglio il disco), spunti di nuovo l’alterigia propria dei primi della classe: si pensi alla fastidiosa strofa di
Third Law, o ancora alla sufficienza compositiva di
Triumphant e
Within My Fence, che formano una coppia centrale di dubbia affidabilità.
Proprio quest’alterigia, per quanto mi riguarda, preclude a
The Congregation l’otto in pagella e l’approdo nei top album.
Nondimeno, rinunciare alle prelibatezze musicali che
Tor Oddmund Suhrke e soci sono in grado di preparare sarebbe una decisione scellerata da parte vostra: parliamo pur sempre di un inestimabile patrimonio della nostra musica favorita, che ritengo opportuno supportare accaparrandosi il nuovo album e il biglietto per il concerto di ottobre a
Milano.
Leziosetti anzichenò, ma pur sempre dotati classe immensa.