...e venne il giorno in cui il buon Turilli la fece fuori dal vaso.
Dopo l'ennesimo ascolto di questo magniloquente "
Prometheus, Symphonia Ignis Divinus", la sensazione è riassumibile nella parola:
ESAGERATO.
Tutto, in questo disco è esagerato. Over-prodotto, troppo suonato, troppi layer di canto anche sulle linee più semplici, se mai ve ne fossero, "Prometheus" rischia davvero di spiazzare l'ascoltatore, contenendo troppa, davvero troppa roba al suo interno. E i ripetuti ascolti, che di solito ti danno il tempo di decantare e di familiarizzare con le composizioni, non rivelano altro che un enorme pastrocchio power/symphonic, dove tutto suona forzatamente canzone, dove l'obiettivo di comporre soundtracks travalica e scappa di mano al buon Luca, così che, alla fine della fiera, le composizioni hanno poco di prettamente '
metal', e troppo, stavolta davvero troppo, di '
cinematic'.
Apre la controversa intro "
Nova Genesis", titoli di testa... Di lì a poco si fa sul serio: "
Il Cigno Nero" mostra subito il fianco, con testi troppo spesso in italiano (il che non è necessariamente un male) e troppo spesso ingenuamente controversi e pieni di luoghi comuni uno via l'altro (il che, invece, un male lo è eccome). Siamo all'inizio, tenetevi forte: "
Rosenkreuz" è il primo singolo, e tutti voi avrete avuto modo di capire a cosa andiamo incontro stavolta, essendo il pezzo un perfetto blend tra le varie nuances dell'album. "
Anahata" possiede un ottimo riff ed un'ottima idea di fondo, ma anche lei viene travolta da miliardi di tracce e una produzione davvero esagerata; "
Il tempo degli Dei" è una song che Luca dedica al filosofo Gustavo Adolfo Rol e alla sua 'Tremenda Legge' (googlate un pò, interessante), ma ci risiamo: la superba voce di Alessandro Conti canta ormai quasi esclusivamente su registri da soprano, neanche da tenore! Poco orecchiabile, come tutto il resto; e un gran peccato anche per "
One Ring to rule them All", e indovinate di cosa si parla.... Tutto ridondante, tutto enorme, tutto slegato armonicamente ma costruito come un enorme sforzo compositivo. Rendere dal vivo questa pletora di strumenti richiederà sessantamila basi in traccia, è davvero questo che vogliamo da una metal band? O stiamo qui smarrendo di vista l'idea di un album METAL, pur con inserti sinfonici e millemila orchestrazioni? La successiva "
Notturno", infatti, manco a dirlo è una romanza con qualche strumento moderno, e ovviamente non sto qui disquisendo della bontà interpretativa di nessuno dei componenti della band. E' la fruibilità di questo enorme calderone, che manca clamorosamente.
"
Prometheus" è introdotto dal solito motivo dispari, per poi aprirsi in un power-tempo abbastanza canonico, con il solito Alle su in cielo, e le solite tonnellate di cori, violini, sezioni strumentali arzigogolate. Forse, però, è uno dei brani che meno risente del '
cinematic virus' che tristemente, ormai, tende ad ammorbare tutte le composizioni di questi LT's Rhapsody. I sette minuti di "
King Solomon and the 72 names of God" somigliano molto in struttura a "Dark Fate of Atlantis", con l'opening sinfonica, il riffone portante, un cantato nebbioso e minaccioso (finalmente il buon Conti non è costretto a strozzarsi in ogni singola nota...), ma ancora ci risiamo... inconcludente.
"
Yggdrasil" continua la cavalcata dei nostri nei luoghi comuni di tutto ciò che fa '
nerd' (fateci caso, c'è di tutto: dalla mitologia norrena agli arcangeli, dai Rosacroce alle teorie su oscure leggi interdimensionali, dal signore degli anelli a Prometeo ecc. ecc.), ma almeno il riff ricorda vagamente i vecchi fasti dei Rhapsody. Ma ci risiamo, siamo quasi arrivati in fondo e non ho ancora ascoltato un brano scapoccioso, coinvolgente, METAL.
E la conclusione, come nel precedente capitolo, è affidata alla lunghissima suite sull'arcangelo Michele, stavolta con il sottotitolo "
Codex Nemesis", 18 minuti tra l'affascinante e il noioso, tra gli stacchi nervosi di una band metal sepolta sotto le orchestrazioni e gli spazi sempre più ampi di orchestre su orchestre, con una sensazione di banale e già sentito che spaventa.
Ecco, forse è questa la più grand edifferenza tra "Prometheus" e "Ascending to Infinity": il precedente album aveva dalla sua il fattore sorpresa, ed un miglior bilanciamento nella struttura-canzone di ogni brano. Qui sembra che il buon Luca si sia fatto definitivamente prendere la mano, portando i suoi Rhapsody davvero troppo in là per poter essere fruiti in maniera immediata dall'ascoltatore metal medio.
Di sicuro questo è un album che può darvi da sentire per mesi, vista la mole di musica che Turilli è riuscito a comprimere in 70 minuti. Ma, per onestà di recensione, non posso nascondervi la grande amarezza di aver assistito alla perdita della MISURA, in una band che avrebbe potuto fare sfracelli, e che da oggi sarà praticamente costretta a suonare quasi in playback, visto che l'80% di questo album non è riproducibile sul palco di un palazzetto. Peccato.