Mors Vocat.:
da una frase del poeta latino Ovidio, che in uno dei suoi componimenti scrive “Omnia sub leges mors vocat atra suas”.
“La tenebrosa morte chiama tutte le cose sotto le sue leggi”.
Non è difficile comprenderne il significato: nessuno può sfuggire alla morte, non importa quello che si fa per evitarla, essa alla fine giunge lo stesso per tutti.
Si presentano così le italiane
SaturninE che, dopo lunghe vicissitudini descritte nella bio, esordiscono con quello che potremmo definire un vero e proprio inno al disagio.
Lo sludge/doom/death di queste ragazze è, infatti, sofferente, doloroso e puzzolente di zolfo a chilometri di distanza.
Immaginate una robusta base sabbathiana, stupratela con
Eyehategod e
Saint Vitus, aggiungete una evidente, durissima, propensione per l'estremo musicale, tanto a livello vocale quanto a livello strumentale, e avrete una idea di come suoni questo album e di come le
SaturninE siano capaci di essere oppressive e portatrici di oscurità.
"Mors Vocat" è, dunque, musica monolitica, è musica che pulsa alle sinistre vibrazioni di un basso nero come la pece e di una batteria inesorabile, è musica in cui le chitarre, lancinanti nei solos, sono macigni troppo grandi da reggere e nella quale la voce aspra ed al vetriolo di Katrien si fonde in un unico, durissimo, urlo doloroso.
Credo sia difficile ascoltare questo debut senza coglierne l'essenza malata e sofferta e senza, soprattutto, riconoscere il talento di un gruppo davvero speciale e capace di dare voce alle proprie turbe in maniera così vivida e reale.
Sapere, poi, che le
SaturninE sono italiane e che nella loro musica mettono cuore e passione, piuttosto che culi e tette come certe "colleghe", non può che renderci orgogliosi e farci sperare che il pubblico si accorga di loro, tributando a
"Mors Vocat" il riconoscimento che merita.
Se il Doom ha una essenza, allora la troverete in queste note, la respirerete in questi riff soffocanti e la vedrete danzare sull'incessante frastuono dei piatti e nelle inaspettate aperture melodiche fortemente evocative che, a volte, squarciano il dolore e l'impenetrabilità del muro sonoro.
Album da ascoltare, ovviamente, quando il sole non c'è più.
Album in cui sprofondare.
Lentamente.