Da
musicofilo adoro letteralmente queste cose. Gruppi poco conosciuti, con una storia “consistente” alle spalle, che vengono (ri)scoperti e proposti al pubblico, offrendo una possibilità di visibilità a chi, per “sfighe” varie o contingenze sfavorevoli, non ha mai ricevuto l’attenzione necessaria.
Ora, so perfettamente (e tale consapevolezza è aumentata da quando, collaborando con la
gloriosa webzine che state leggendo, sono in qualche modo tenuto ad assumere atteggiamenti maggiormente analitici e “distaccati” …) che tali operazioni sono diventate un po’ troppo frequenti per non dubitare della loro “sincerità” e validità, ma per una volta vi chiederò di accantonare dubbi e diffidenze e affidarvi con fiducia a questa mastodontica “retrospettiva” dedicata ai
Seth, brillante formazione Bostoniana ignota ai più e invece assolutamente meritevole di considerazione.
Sostenuto da un marchio storico come quello della Minotauro Records, ulteriore garanzia di competenza e autenticità, “Seth” è rivolto ai tanti sostenitori di Rush, Diamond Head, Led Zeppelin, Budgie e Triumph, che ritroveranno in questi solchi scorie di quel suono che tanto amano traslitterato da un terzetto di musicisti di notevole valore sebbene decisamente meno fortunato dei suoi numi tutelari.
Tra oscuri
studio-album,
live outtakes,
rehearsal e inediti vari, vi troverete di fronte alla produzione di una
band “in giro” dal 1974, offuscata dalla superficialità e dall’indifferenza e alla prova dei fatti capace di emozionare gli astanti con una miscela, per certi versi ancora un po’ ingenua (il che, se vogliamo, acuisce il fascino “polveroso” e
vintage della questione …), di
prog,
hard rock,
NWOBHM e
blues governata dalla voce tersa e ispirata del
leader Gerard 'Gerry' Stafford, encomiabile anche nelle vesti di chitarrista al tempo stesso discretamente fantasioso e passionale.
Attraverso un percorso che dalla “notte dei tempi” arriva fino ai giorni nostri (“The abbey of Thelema” è un articolato strumentale dell’anno scorso ed evidenzia un’interessante evoluzione in senso “esoterico” del
songwriting), questo lavoro è da considerare contemporaneamente come una vera
reliquia, svincolata dal concetto
trendistico di archeologia musicale, e un’opportunità di conoscenza che vi consiglio vivamente di non mancare.
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