Basta dare un'occhiata all'inquietante cover artwork per rendersi conto che con questo “Freeman” i Labyrinth sono pronti a fare il passo decisivo lungo il percorso della loro evoluzione musicale, tagliando i legami col passato in maniera ancora più netta di quanto si potesse già intuire ascoltando il precedente, magnifico, disco omonimo targato 2003. Già l'opener “L.Y.A.F.H.” indica la rotta seguita da questo nuovo corso dei Labyrinth, un Melodic Metal ricco di sfumature progressive, poliedrico ed orecchiabile ma mai banale, capace di toccare i più disparati territori musicali e di forgiarli in un sound personalissimo ed entusiasmante. “Deserter” riprende invece la vicenda del soldato già protagonista di “Just Soldier” nell'album precedente, giocata sull'alternarsi tra passaggi rilassati ed un vorticoso ritornello in cui Stancioiu accompagna Tiranti con dei rabbiosi backing vocals in growl. “Dive in Open Waters” è invece il pezzo più veloce della storia della band, tiratissimo ma allo stesso tempo fortemente melodico, con degli splendidi fraseggi di chitarra della coppia Cantarelli – Gonella: senza dubbio questa canzone si rivelerà un must anche dal vivo! “Freeman” è più particolare, ritmi lenti ma comunque coinvolgenti, con refrain struggenti e malinconici ed una discreta presenza elettronica; notevole anche l'interpretazione di Tiranti, capace di stupire ad ogni disco. “M3” invece mi ha ricordato più lo stile del controverso “Sons of Thunder”, altro episodio discretamente veloce, dotato di un buon groove. I ritmi calano leggermente con la successiva “Face and Pay”, ma è con “Malcom Grey” che si tocca il culmine di “Freeman”: è forse la composizione più personale ed interessante dell'intera discografia dei Labyrinth!! Lo Speed Metal torna prepotentemente protagonista in “Nothing New”, un dinamismo smorzato in alcuni frangenti da sonorità più gentili ed avvolgenti, che lasciano comunque spazio alla doppia cassa di Stancioiu in occasione del chorus. In “Infidels” si rievoca uno degli eventi più tristi degli ultimi anni, il dramma della scuola dell'Ossezia occupata nello scorso Settembre da un commando di terroristi ceceni, una tragedia in cui persero la vita numerosi bambini. L'atmosfera della canzone è inevitabilmente oscura, di grande sofferenza, ma dal punto di vista musicale è forse l'episodio meno esaltante di “Freeman”. Nella conclusiva “Meanings” riaffiorano alcune sonorità elettroniche, ormai marchio di fabbrica dei Labyrinth, affiancate a passaggi di derivazione progressive: il pezzo è comunque notevolmente orecchiabile, quasi easy-listening, e conclude nel migliore dei modi un disco davvero ottimo. L'unica nota stonata di “Freeman” è probabilmente una produzione non perfetta, inferiore a quella di “Labyrinth”, ma comunque di buon livello. In tutta onestà forse il precedente album mi aveva impressionato maggiormente, ma questo nuovo capitolo della storia dei Labyrinth è una eccellente conferma dell'ottimo stato di salute della band. Complimenti!