E’ veramente difficile, per un accanito sostenitore di Deep Purple, Blue Cheer, ZZ Top, Bad Company e Led Zeppelin come il sottoscritto, che poi ha apprezzato enormemente la brillante capacità di “rivisitazione” offerta da gruppi del calibro di Badlands, I Love You, Masters Of Reality, Spiritual Beggars e Graveyard (solo per fare qualche nome, mescolando epoche e differenti sfumature espressive …), non apprezzare l’opera dei
Kamchatka.
Una viscerale attitudine alla nobile
storia dell’
hard-rock blues, la destrezza e l’esperienza di ottimi e sensibili musicisti (tra cui Per Wiberg, già tastierista degli Opeth, oltre che degli stessi Spiritual Beggars, nonché collaboratore di Anekdoten, Arch Enemy, …), l’abilità nel blandire i sensi posseduta dalla voce pastosa di Thomas ‘Juneor’ Anderssons, tutto, insomma, depone a favore dei bravi
rockers svedesi, che pure nel tentativo di rendere maggiormente “moderno” e affabile un canovaccio sonoro così rigoroso e classico (avvicinandosi, per certi versi, a quanto proposto da Black Keys e Queen Of The Stone Age … merito anche del lavoro in cabina di regia di Russ Russell), appaiono dotati di un certo gusto e di discreto equilibrio.
Come spesso mi accade con molte formazioni di estrazione
vintage, però, i nostri non riescono a portare l’indicatore del gradimento sulla zona “rossa”, equivalente a un passaggio dalla piacevolezza all'entusiasmo.
Sarà forse perché l’operazione di restaurazione appare talvolta poco caratterizzata o perché a tratti affiora l’ombra del manierismo … in realtà, non saprei individuare il “vero” e circostanziato motivo di tale situazione, ma quello che ricevo dall'ascolto di “Long road made of gold” è una dose di “buone vibrazioni” piuttosto consistente e tuttavia dagli effetti abbastanza epidermici, destinati fatalmente a dissolversi dopo un iniziale appagamento.
Per essere assolutamente chiari, d’altro canto siamo anche ben lontani dalla parodia, e a dimostrarlo arrivano “Take me back home” (impreziosita da un suggestivo
banjo), la frizzante “Get your game on”, l’ardore
soulful di “Made of gold”, la passionale "Rain” e ancora "Who’s to blame” (una sorta d’incrocio tra Kings’ X, MOR e RHCP) e l’ipnotica "Slowly drifting away”, “roba” sicuramente di categoria superiore, in grado di emergere dal marasma delle frequentazioni “reazionarie” che caratterizzano l’odierno panorama discografico.
Forse il “segreto” sarebbe provare a “strapazzare” un po’ di più questa benedetta tradizione … anche se le tendenze attuali sembrano andare in tutt'altra direzione, chissà che in futuro non siano proprio i Kamchatka, dall'alto della loro competenza e variegata cultura, a tentare di dare una svolta “progressista” a un suono sicuramente immarcescibile e ciononostante molto inflazionato.
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