Dopo un primo album autoprodotto, ma distribuito dalla Underground Symphony ("Fist For Fight" del 2001), ed un secondo lavoro, "Metalizer", pronto e da diverso tempo in "sospeso" presso la succitata label italiana, gli svedesi
Sabaton rompono gli indugi e realizzano "Primo Victoria".
Il loro nuovo album, irrompe letteralmente nella scena metal, per toni (un Power Blend tra l'epic metal, il vecchio power teutonico e quello più recente di impronta svedese), per le liriche (incentrate sulla guerra) e per quello che sembra un probabile spirito di rivalsa di fronte alle difficoltà incontrate sinora.
E "Primo Victoria", rende onore a questi svedesi, anche se gli ottimi spunti messi in evidenza sin dai primi brani, non sempre sono mantenuti nel proseguo, anche se non si incappa in gravose cadute di tono.
La titletrack è un battagliero mid-tempo che mette subito in evidenza i pregi dai Sabaton e la particolare timbrica del cantante, che sul disco si occupa anche delle tastiere (questo è comunque il suo strumento all'interno degli Stormwind). Joakim Broden si propone con successo in quello che avrebbe potuto passare come un improbabile ibrido tra Eric Adams, Udo Dirkschneider e Chris Boltendahl, ed è autore di una prestazione che s'incastra alla perfezione con lo spirito bellicoso che serpeggia per l'intero CD. Le seguenti "Reign Of Terror" e "Panzer Battalion" sono due brani d'impatto, più veloce ed epico il primo e poderoso (beh, visto l'argomento...) il secondo. Si passa dai tank ai sottomarini con la seguente "Wolfpack", che sfrutta maggiormente l'effetto chorus e piazza pure un bell'assolo di chitarra. "Counterstrike" nonostante l'orientamento neoclassico ha il passo spedito dei Grave Jigger, ma manca del feeling delle canzoni che l'hanno preceduta. Le atmosfere si fanno più oppressive e cadenzate con "Stalingrad", dove, se ho trovato riuscito il ruolo della sezione ritmica, davvero martellante, mi sono sembrati un po' forzati certi passaggi pseudo-prog.
I Sabaton si rimettono in carreggiata con una "Into The Fire", semplice, possente e giustamente "in your face", ma poi, alla ricerca del brano "drammatico e toccante", tentennano parzialmente con "Purple Heart".
La conclusiva "Metal Machine" sembra staccarsi dal concept lirico del disco, un brano musicalmente legato al metal anni '80, con un ritornello che richiama apertamente Accept e gli U.D.O.
Una sorpresa... alquanto positiva!
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