Arrivano da Birmingham, si chiamano
Corvus e sono certo rappresenteranno una gradevole
sorpresuccia per quanti amano i suoni vellutati e vaporosi dell’
AOR più
catchy.
Profondamente legati alla storia del genere, i nostri offrono una miscela piuttosto fascinosa di suggestioni sonore di natura
yankee e scandinava, pur mantenendo un orgoglioso
british trademark, risultando potenzialmente appetibili, alla fine, tanto per gli estimatori di REO Speedwagon, Bon Jovi, Michael Bolton, Stage Dolls e Treat, quanto per quelli di FM, Heartland, Terraplane e Strangeways.
A onor del vero nella loro prestazione è rilevabile un pizzico di soverchia leziosità, il che unito a una personalità non proprio “dominante”, finisce per zavorrare abbastanza pesantemente “Chasing miracles” nell’ascesa verso l’
Olimpo del settore, ma allo stesso tempo è necessario rilevare un’innata capacità nel conquistare l’astante appassionato attraverso un’apprezzabile sequela di melodie ammalianti, prodotte da musicisti sicuramente sensibili e preparati.
Così, si scopre che Ciaran James, oltre ad un’invidiabile dotazione di addominali (è attivo anche come attore e modello), possiede
anche una bella voce, sinuosa, calda e virile (in certe sfumature timbriche mi ha vagamente ricordato
persino un Tony Hadley …), che John Clews (ex Serpentine) è un valente chitarrista, che gli arrangiamenti tastieristici coordinati da Nick Jeavons si esprimono con misura e buongusto e che la sezione ritmica affidata a Jordan Brown e Alex Cooper svolge egregiamente il suo lavoro.
Difficile, dunque, rimanere insensibili di fronte al contagio istantaneo di “All I need”, “Can't get enough” e della
title-track, una terna di notevole attrattiva per tutti gli estimatori degli
eighties melodici.
Si continua accentuando la medesima falsariga armonica con una
super-ruffiana “How long” (
claps, cori maliosi e appena un tocco di Big Country nelle strutture chitarristiche) e con una “Turn to stone” che sconfina in epiche atmosfere
western (un po’ alla “Wanted dead or alive”), mentre consiglio a tutti i lettori refrattari alle melodie a elevato contenuto zuccherino di avvicinarsi con cautela a “Can't stop falling” e a “Believe”, pena il rischio di una prepotente crisi iperglicemica.
Leggermente più vivace appare “When you love someone”, la quale, assieme alla melodrammatica "Truth or lies” e al vibrante strumentale “Retribution”, riscopre in parte le recondite reminiscenze “celtiche” del gruppo, lasciando a “Face the world” (una sorta di “More than words” in salsa albionica) e alle
soulful “Where do we run” (una
ballatona piuttosto intrigante) e “Don't let the sun” (decisamente meno efficace), il compito di apporre il sigillo su disco di buona fattura, che, senza stravolgimenti, non mancherà di conquistare l’attenzione degli
chic-rockers dall’animo maggiormente languido e nostalgico.
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