Di quando in quando capita d’imbattersi in giovani band capaci di far scattare il clic emotivo sin dal primo istante; band ignote, di nicchia, ai primi vagiti discografici, cui bastano poche note per farti pensare di trovarti di fronte a qualcosa di speciale.
Ebbene, tra i miei (tanti, a dire il vero) gioielli nascosti rivestivano un ruolo di assoluta preminenza gli
Year of the Goat.
Ormai, presumo che di nascosto non sia rimasto granché: in fondo, i sei svedesi sono già sotto contratto con la prestigiosa
Napalm Recors, stanno ricevendo le attenzioni delle più importanti riviste di genere europee ed hanno registrato dati di vendita piuttosto confortanti.
Nel contempo, la loro miscela musicale spuria (sul celebre sito
metal-archives, tanto per dire, non v’è traccia di loro), così come il moniker e le tematiche a sfondo dichiaratamente satanico, li ha sinora confinati in una terra di confine dalla quale sembra arduo evadere.
Da un lato, l’impossibilità d’inserirli in uno dei filoni in cui la nostra musica prediletta deve giocoforza venir suddivisa (ma poi: perché?); dall’altro, le difficoltà ad imporsi presso il più vasto e “generico” pubblico rock a causa del fosco immaginario evocato.
Un dilemma che ci lascia freddi e perplessi: da queste parti sterili categorizzazioni, illusori riscontri commerciali ed arcaiche dissertazioni sull’opportunità o meno di veicolare il Verbo del Maligno interessano ben poco.
Noi di
Metal.it abbiamo l’ardire e la presunzione di voler “semplicemente” parlare di musica, cercando di segnalarvi quella che, dal nostro umile punto di vista, merita la vostra attenzione.
Ecco: quella degli
Year of the Goat, a parere del sottoscritto, la merita eccome.
Ciò valeva già ai tempi dell’ottimo debut
Angels’ Necropolis (2012) e dell’inebriante
EP The Key and the Gate (2014); eppure, la maturazione registrata dai giovani scandinavi in occasione del nuovo full
The Unspeakable mi ha impressionato.
Di fatto, tutti i meccanismi che rendevano speciale la proposta sono stati ripresi, perfezionati e oliati, creando continuità col passato senza per questo adagiarsi sugli allori di una formula vincente.
Formula, come scritto in precedenza,
sui generis e piuttosto sfuggente. Forse non originale nel senso più proprio del termine, eppur dotata di rara sensibilità nel fagocitare e rielaborare. Così,
seventies hard rock,
NWOBHM,
dark,
doom e
occult metal si uniscono in un’orgia al tempo stesso impura e linda, screziata dal peccato e avvolta da un alone di sacralità, impulsiva e deliberata.
Gli
Year of the Goat si dimostrano una volta ancora musicisti preparati e compositori sopraffini. Lo certificano l’assenza di autentici brani filler e l’esiguo numero di passaggi a vuoto o momenti morti lungo i 52 minuti abbondanti di durata del platter; lo attesta la capacità -già rivelata in passato- di destreggiarsi tanto sui brani di lunga durata e complessa strutturazione (soffermatevi sull’immane opener
All He Has Read) quanto su quelli più concisi e immediati (come il torbido singolo
The Emma); lo testimonia il gusto nella scelta di arrangiamenti addirittura sontuosi nella loro apparente semplicità.
Margini di miglioramento?
Eccome: il mellotron di
Pope può e deve acquisire maggior peso specifico nell’economia del sound; un irrobustimento delle ritmiche gioverebbe alla resa complessiva; più in generale, auspicherei un maggior dosaggio di oscurità e malignità a scapito di qualche concessione melodica di troppo. Ma qui si entra nei gusti personali.
Non resta che attendere futuri sviluppi, consci che il presente è già radioso.
Pur continuando ad incassare tutta la mia stima e simpatia, rimango a tutt’oggi convinto che il nostro adorabile
Signore Lucifero non sia mai esistito (al pari di qualsiasi altra assurda divinità partorita dalla mente umana).
Un vero peccato: sono altrettanto convinto che, se il Nostro esistesse, sarebbe oltremodo compiaciuto da questo
The Unspeakable.
Tocca quindi a Voi, cari lettori, supplire alla presumibile inconsistenza di
Satana, tributando in sua vece i giusti onori agli
Year of the Goat.
Non sarà proprio la stessa cosa, ma credo gradiranno comunque.