Parbleu!
Ma cos’hanno combinato ai nostri poveri francesini per farli imbestialire in questo modo?
Onestamente non ne ho idea, ma plaudo ai responsabili e li invito a perseverare nella loro opera!
Il sottoscritto, ad onor del vero, aveva gradito anche il precedente
Post Mortem Nihil Est, pur imputandogli una sovrabbondanza di influenze
*core e un piglio troppo commerciale (più invecchio più trovo logoro questo termine, ma qui calza).
Evidentemente gli autori hanno condiviso le mie perplessità, tanto da dare, in occasione del sesto full lenght, una vistosa sterzata in direzione opposta.
Traduzione:
Tales of the Black Dawn è, per distacco, l’album più estremo della carriera dei
Dagoba.
L’esplorazione del Lato Oscuro del metal si palesa sin dall’artwork di copertina, e si estende ad ogni aspetto della release. Con ogni probabilità, il segno di discontinuità più evidente risiede nell’approccio vocale di
Shawter, che mai come in questa occasione snobba le clean vocals (che pur aveva imparato a padroneggiare nel corso degli anni). Non credo sia un caso se l’unica, autentica concessione alla melodia -costituita dalla traccia
The Loss- corrisponda al pezzo di gran lunga meno riuscito del lotto.
Discontinuità, certo, ma chi ha imparato ad apprezzare il gruppo transalpino non rimarrà del tutto spaesato: il loro
cyber thrash ha sì fagocitato influenze
death, ha sì ridotto l’incidenza dei samples sull’economia del sound, ha sì indurito ritmiche e drumming, eppure rimane riconoscibile. Ciò che più conta, mantiene intatta l’immane dose di groove, autentico valore aggiunto dei Nostri.
Merito anche di una produzione di alto livello (opera dell’affidabilissimo
Logan Mader), capace di mettere in mostra la letale precisione di musicisti che non hanno bisogno di stucchevoli ghirigori o di velleitari sfoggi di tecnica per impressionare positivamente. Una nota di merito, a tal proposito, va spesa per il chitarrista
Z, davvero indemoniato lungo tutti i 40 minuti di durata del platter.
Per ambire al rango di
top album mancano forse i picchi di eccellenza assoluti, anche se brani come
Born Twice o
Half Damn Life arrivano a lambirne i confini.
Io, comunque sia, posso dichiararmi ampiamente soddisfatto.
E voi?
So bene che i
Dagoba in Italia non hanno mai riscosso grande interesse (per usare un eufemismo), eppure vi esorto a concedere a
Tales of the Black Dawn l’attenzione che merita.
Félicitations.
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