Non è facile “imbrigliare” con le parole questo debutto dei
Kezia … le sue atmosfere cangianti, la scomposizione sonora in scenari sempre diversi, i continui chiaroscuri, il suo frenetico alternarsi tra
metal,
pop,
prog,
alternative,
swing (!) e
pomp, lo rendono un prodotto poco “classificabile” e lo destinano verosimilmente ad un’
audience “illuminata”, che non ama molto le soluzioni rigorose e prevedibili.
Prendendo spunto dalla
cover dell’album, si potrebbe affermare che l’ascolto di “The dirty affair” equivale a una sorta di
test di
Rorschach sonico, utile a esplorare le dinamiche sensoriali dell’astante, in prima istanza probabilmente impegnato a tentare d’individuare le molteplici influenze del gruppo, per poi essere fatalmente sopraffatto da un’onda emotiva ben più importante di un’indagine “scientifica” sulle origini di quel suono che lo sta investendo.
E allora diciamo che le suggestioni iniziali per il sottoscritto assumono le aristocratiche sembianze di Foxy Shazam, Dream Theater, Muse, Faith No More, Styx e Queen (assieme a barlumi di formazioni più “oscure” tipo Cain & Abel o Valensia …), e che tale “sforzo” analitico è ben presto soppiantato dall’immagine nitida di una forma moderna di
rock veramente “progressivo” (la
band lo chiama
prop-metal …), non adagiato nella contemplazione dei grandi del passato e del presente, e capace di nobilitare con la sua creatività il fondamentale insegnamento dei maestri.
Ci sono più idee in questi trentacinque minuti di musica che in molta della produzione discografica
mainstream contemporanea e poco importa, al momento, se alcune di esse appaiono ancora leggermente “fuori fuoco” e avranno bisogno di una naturale fase di messa a punto.
La teatralità istrionica di “Before I leave” o la spigliatezza schizofrenica di “Ebola” non sono specificità che possono essere sottovalutate e quando arriva “The dirty affair (between pelican and bear)”, una sorta di Savatage sotto anfetamina elettronica, direi che l’operazione soggiogamento può considerarsi completa.
“Sneakers”, nonostante qualche piccola ridondanza, consente di rilevare lo spiccato senso melodico dei Kezia anche in contesti piuttosto evoluti, “Barabba son's song” è un esempio (introdotto da un didascalico “
a classic, and at the same time progressive …”) di pura psicosi in note, tra melodie solari e “radiofoniche”, aperture enfatiche e strappi furenti, mentre “Quendo” solca in maniera vagamente più “tradizionale” le turbolente rotte del
prog-metal.
Il breve “Preludio”,
ehm, prelude, infine, a “Treesome”, la solenne, magniloquente, folle, ardimentosa conclusione di un dischetto di notevole valore, per un gruppo molto competente e fantasioso, da elogiare per la sua meritevole e coraggiosa opera di distinzione e da incoraggiare nella prosecuzione della sua estrosa e appagante ricerca artistica.