I portatori sani del verbo vegano e dei diritti degli animali sono tornati. È il momento di unirvi tutti, vegetariani, fruttariani, respiriani e anche voi ignobili mangiacarne, tutti insieme per sostenere la band di San Diego, tornata con un altro gran disco a tre anni di distanza dal proprio capolavoro, il bellissimo
Monolith of Humanity.
Mi tolgo subito il dente e vi dico che no, il nuovo
The Anthropocene Extinction non raggiunge le vette del precedente album, ma si mantiene su un livello assolutamente alto e porta con sé un gruppo totalmente coeso e padrone dei propri mezzi.
Monolith of Humanity ha il merito di aver aperto nuovi orizzonti ai
Cattle (mi vien da ridere pensando alla traduzione), grazie alle contaminazioni black metal (già presenti da
The Harvest Floor, invero), grazie alla poliedrica voce di
Travis Ryan al riffing di
Josh Elmore e a tante altre cose, prendendo le distanze dagli esordi prettamente grind, rozzi e confusionari ed approdando ad un suono assolutamente personale. Essendoci già stato questo grosso cambiamento, il nuovo album non ne apporta un altro di tale portata, ma affina certi dettagli e presenta un sound più omogeneo. All'interno del disco troviamo un mix di stili davvero ben riuscito, la base è death/grind ma il riffing è moderno, c'è un sacco di cupezza, cattiveria, ma anche aperture melodiche, parentesi al limite del catchy (per il genere) ed un cantante che si approccia ad un sacco di stili differenti. Tutte cose riscontrabili nella bellissima traccia d'apertura. Proseguendo, arrivano poi porzioni rallentate ed atmosferiche, create da gelidi riff e schizzati vocalizzi sapientemente alternati, brani che si sviluppano tra arpeggi, cambi di ritmo e di voci, diventando ricchi di feeling e quasi di facile ascolto. In alcune occasioni si sente una netta impronta
Dimmu Borgir/Cradle of Filth (
Clandestine Ways), mentre chi preferisce pezzi più diretti e dall'impronta "grindeggiante" maggiormente in evidenza, sarà travolto da
Mutual Assured Destruction e dai suoi gravity blast a pioggia. C'è da segnalare una canzone davvero particolare che si distacca dal resto, ovvero
Ave Exitium, un brano lento, cantato con voce pulita e dal forte accento gotico. A riportare tutto alla insana normalità, ci pensa la bellissima (anche nel titolo)
Pacific Grim dove, ancora una volta, la prestazione inumana di
David McGraw dietro il drum kit spicca. Per quanto concerne la chitarra di
Elmore, diciamo che su questo disco ha messo un attimo da parte la tecnica (comunque evidente in alcuni passaggi ed un paio di assoli) a favore di una prestazione maggiormente legata al groove. Il suono del disco è estremamente pulito e preciso, dal taglio moderno e permette di seguire ogni passaggio. Ecco, forse è un pochino leggerino e secco ma si tratta di gusti personali e non mi sento di farne un problema.
Tirando le somme,
The Anthropocene Extinction è meno vario del precedente lavoro ed alcune canzoni (o meglio, alcune parti) possono confondersi tra loro ma i breakdown dosati, la misantropia dilagante, l'enfasi sulla narrazione e su certe atmosfere sono davvero di assoluto valore e confermano i
Cattle Decapitation come band personale e dal grande talento all'interno del panorama estremo odierno.