Terzo album per i
Nibiru, una delle realtà più originali della scena underground italiana. Ma quale scena? Questo è il punto. Ciò che propone questo trio ha il pregio di non essere collocabile in un filone musicale preciso.
I loro lunghi brani sono un flusso sonoro straniante, magmatico, pura espressività atmosferico-strumentale. Lo sludge, la psichedelia visionaria, le filosofie orientali più occulte e misteriose, il canto in lingua enochiana, la sperimentazione estrema, tutto viene inglobato e trasformato in “viaggi” mentali dall’impatto straniante. Immaginate una jam tra i Pink Floyd barrettiani e gli Sleep di “Jerusalem”, ma con i musicisti in pieno trip acido e solo per darvi un’indicazione di massima.
Non mi addentro nei significati esoterici proposti da Ardath e soci, ma anche questo aspetto è fondante nel contesto della band. Si parla di divinità sanguinarie e antichissime, ma altrettanto di introspezione mistica e inconscio individuale.
Resta chiaro che si tratta di un gruppo accessibile solo a chi è avvezzo a proposte molto particolari, del genere Bong o Ommadon, ma la sua diversità è sicuramente stimolante.
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