Oliver Hartmann è personaggio ben conosciuto negli ambienti musicali italiani. Ex cantante dei power metallers tedeschi At Vance (con i quali ha registrato quattro album prima di andarsene per divergenze musicali), ha poi collaborato alla rock opera "Genius" di Daniele Liverani, ed ha successivamente raggiunto il chitarrista nostrano nei suoi Empty Tremors, con i quali ha registrato il valido "The alien inside", uscito l'anno scorso. Il grande pubblico lo ricorda forse però per la sua partecipazione al fortunatissimo "Avantasia" di Tobias Sammet. ora, a distanza di dodici mesi da quella release, il buon Oliver si riaffaccia sulle scene con il suo primo album solista, il lavoro che dovrebbe (si spera!) spalancargli le porte del successo, dopo una carriera positiva ma priva per ora di exploit significativi. E diciamo subito che "Out in the cold" non lascerà a bocca asciutta nessuno: niente più power o prog per il singer tedesco, solo un bel potente e dinamico hard rock di scuola britannica a farla da padrone nenell'arco dei dodici pezzi dell'album. Influenze melodiche dunque, che vanno dai Dare ai Giant, passando per quella meravigliosa ugola che è Jeff Scott Soto, dei cui Talisman si sentono talora gli eco. Non siamo certo di fronte ad un lavoro innovativo, dal punto di vista stilistico i richiami sono quelli, e fin dalla grintosa e anthemica "Alive again" capiamo già dove Hartmann vuole andare a parare. Ciononostante non si sfiora mai il puro e semplice manierismo: queste sono canzoni che nascono dal cuore e dalla passione, da dieci anni passati a fare musica sui palchi di tutta Europa, e veramente non si può restare indifferenti di fronte a brani catchy e azzeccatissimi come la title track, "The same again", "What if I" o "Listen to your heart", che davvero ti entrano subito in testa e non riescono proprio a tenerti fermo un istante. Non mancano neppure le ballate, le quali, contrariamente ai clichée del genere, non sono per nulla sdolcinate, e anzi mostrano in tutta la sua bellezza la voce di Hartmann, mai così a suo agio durante la prova in studio: e sì che quasi mai l'abbiamo sentito cantare queste cose! La produzione, altro vero punto di forza, è affidata al mostro sacro Sascha Paeth (c'è bisogno di dire altro), e in effetti dei suoni così su un disco aor non li abbiamo mai sentiti. Aggiungeteci poi la presenza di un altro mostro sacro (rispondente al nome di Miro Rondenberg) che si è occupato degli arrangiamenti delle parti orchestrali, e avrete un altra ragione per cui non si può farsi scappare questo disco.
Non ho nient'altro da aggiungere: consigliato a tutti gli amanti di questo grandissimo singer, ma non solo! Lo vedremo mai in tour?
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