Non sono in grado di stabilire quanti dei nostri lettori rimarranno “impressionati” dalla notizia che i
Syne hanno coniato un nuovo genere musicale e sono stati definiti “i nuovi Bluvertigo”.
Personalmente sono propenso a non dare molto credito a queste ostentazioni da “materiale promozionale”, e questo probabilmente depone a favore del quintetto lombardo, dacché, per esempio, pur riconoscendole qualche sporadico guizzo di autentica genialità, ho sempre considerato quella di Morgan & C. una formazione ampiamente sopravvalutata.
Per fortuna (almeno dal mio punto di vista!) le connessioni tra l’
e-rock (questo il nome assegnato all’inedito linguaggio artistico …) di “Croma” e le sonorità dei loro più famosi colleghi si limitano alla volontà di mescolare
new-wave, elettronica,
prog e
hard-rock e a qualche sfumatura interpretativa, per un prodotto magari meno “sperimentale” di quanto ci si aspetterebbe visti i presupposti e tuttavia piuttosto consistente e affascinante.
I trentacinque minuti del disco risulteranno effettivamente parecchio godibili per chi ama le forme sagaci di contaminazione sonora, e apprezza, tanto per fare qualche nome, l’approccio alla materia di gruppi come Muse, Porcupine Tree, Vast e NIN, mescolato con la nobilissima tradizione progressiva del
Belpaese.
Discretamente creativo senza dover ricorrere ad astruserie “ad effetto”, il percorso espressivo della
band conquista sin dal primo contatto grazie ad un’innata abilità compositiva e a una tensione comunicativa che rimane tale sia quando sfrutta le enormi potenzialità della madrelingua e sia quando è l’inglese a coordinare il variegato tracciato sonico.
L’oscurità seducente di “Sono rosso” e dell’apocalittica “Nera”, la sinuosa “Cercami” (in cui, a tratti, possono venire in mente pure i Subsonica), le dissertazioni cosmiche di “B.L.U.” e poi, sul versante anglofono, le cibernetiche “Witches” e “Aerie”, e il pulsante e cangiante epilogo denominato “Yellow”, rappresentano una base sicuramente interessante e incoraggiante, su cui continuare a lavorare per rendere davvero “unico” il proprio modo di fare musica, incuranti di fantomatiche invenzioni stilistiche o di paragoni (più o meno) illustri e impegnativi.
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