Alla vigilia di questo disco le aspettative erano alte, l'attesa si è fatta sentire ed i vecchi fan come il sottoscritto speravano che il sarcofago si aprisse e ne uscisse una creatura incazzata con il mondo.
La band di Greenville sarà quindi riuscita a risollevarsi da un disco che non è stato digerito da molti a causa della suo eccesso di tecnica, a causa della sua produzione a dir poco discutibile? Senza contare che gli anni passano, per la precisione 20 dall'EP
Festival of Atonement.
In poche parole, i
Nile saranno riusciti a confezionare un disco degno della loro grandezza?
Scanso subito ogni dubbio e metto in chiaro che
What Should Not Be Unearthed è una colata incandescente di odio e potenza come per dire "siamo qui e vi mettiamo tutti in fila, scusate il non riuscitissimo disco precedente, il trono è ancora nostro".
Con queste premesse va da sé che
Karl e soci non potevano proseguire sul solco di
At The Gate of Sethu (le spiegazioni le trovate nell'
intervista) e cos'hanno fatto allora? Hanno semplificato il tutto, tagliando le parti eccessivamente ingarbugliate, riducendo di molto le orchestrazioni e le melodie orientali e tornando alle loro radici brutal-death, creando così un disco che sarebbe la perfetta continuazione di
Annihilation of The Wicked (ricordando che
Those Whom The Gods Detest rimane un disco mostruoso). Il suono di
What Should Not Be Unearthed è asciutto, ruvido, grezzo e potente, così come i pezzi che sono una riscoperta dei riff taglienti e d'impatto, di una precisione chirurgica, davvero sorprendenti e senza mai porgere il fianco a sofismi inutili.
La strepitosa opener fa capire subito la direzione di questo disco e la triste attualità che l'ha ispirata (i fondamentalisti che saccheggiarono i reperti egizi e vollero abbattere la blasfemia delle piramidi) ci viene sparata in faccia con una rabbia che da tempo sembrava sopita. Tutti i primi brani contano sugli strumenti classici del death metal, hanno un andamento piuttosto veloce e vedono i Nostri impegnati in composizioni più lineari degli ultimi lavori, mentre un accenno di mediorientalità (che ricorda un pochino la melodia di
Unas, Slayer of The Gods da
In Their Darkened Shrines che, a sua volta, è stata presa da
The Well of Souls presente su
Nightfall dei
Candlemass) lo troviamo all'inizio della bella
In The Name of Amun, brano potente ed epico creato senza abusare di basi registrate e che ospita un assolo lungo e leggermente atipico. La successiva
title tack ha un riffing denso, lento melmoso e "grosso", si apre poi ad accelerazioni diventando più tagliente e rientrando tra i brani meglio riusciti, come la successiva
Evil to Cast Out Evil quasi un singolo, non perché sia di facile ascolto ma perché racchiude tutte le caratteristiche della band (con un tocco catchy), che ingloba micidiali ed oppressivi rallentamenti e, a sorpresa, un solo "pulito e lineare". Il senso di schiacciamento ed asfissia viene poi proseguito sulla lenta e angosciante
Age of Famine a cui segue la breve strumentale e mediorientale
Ushabti Reanimator. Questa coppia di pezzi, posizionata a tre quarti del disco, crea un distacco, una pausa col resto del materiale e prepara l'ascoltatore alla discesa verso altre due gemme di questo nuovo album.
Rape Of The Black Earth parte col piede pigiato sul gas, la struttura è quella tipica ed i bei riff ai susseguono verso l'epico e potente finale, mentre la conclusiva perla del male rappresentata
To Walk Forth From Flames Unscathed è una canzone che alterna perfettamente sprazzi velocità a porzioni corpose, tagliate da un riffing melodico e sinistro, quasi una marcia.
What Should Not Be Unearthed contiene canzoni senza punti deboli, varie ma che contemporaneamente hanno lo stile
Nile marchiato a fuoco e sono immediatamente riconoscibili. La scintilla, l'ispirazione, le idee non sono quelle dei classici ma, appunto, quei dischi sono già nella storia e anche solo avvicinarsi è un grande risultato. Strumentalmente è un disco coeso, rabbioso, pregno di brutalità ma che tra le sue trame nasconde rasoiate melodiche inaspettate, complice un lavoro chitarristico affiatato e perfettamente bilanciato, così come le liriche hanno metriche ragionate e scambi tra le voci adeguati. Dal punto di vista ritmico,
George c'è sempre ed è una garanzia, lo senti, macina a dovere ma non ci fai quasi più caso, sai che è un motore incredibile e lo lasci andare; ciò nonostante ogni tanto se ne esce con dei fill inaspettati, delle parti iper-veloci, dei colpi pazzeschi che ti lasciano con un palmo di naso.
Mi sono dilungato molto, scusate ma il fan che è in me ha voluto un po' di spazio, comunque la disamina penso sia ragionata e non frutto di un "coinvolgimento emotivo" o di un ascolto superficiale (ho il disco da fine giugno, almeno 20/25 ascolti me li sono fatti). Non resta che saggiare la bontà dei nuovi pezzi in sede live, in un tour pre-autunnale che vede i
Nile in compagnia dei
Suffocation e... chi sopravviverà potrà raccontarne le gesta.