Di fronte al diffusissimo
trend della “riscoperta postuma”, anche il più grande appassionato del
rock nella sua accezione più “classica” è ormai fatalmente portato a mostrare qualche inevitabile barlume di “diffidenza”, ma se questa “moda” contribuisce alla rivalutazione di gruppi di autentico valore e poi, soprattutto, li induce in qualche modo a tornare in attività con la stessa vitalità dei “tempi belli”, allora sono prontissimo ad accettare anche il rischio di qualche operazione di “comodo”.
Gli
Spettri, il cui albo d’esordio risalente al 1972 si è manifestato solo tre anni fa grazie alla benemerita iniziativa della Black Widow Records, incoraggiati anche da un panorama musicale tornato ad essere particolarmente ricettivo nei confronti delle sonorità
vintage, decidono di dare un meritato seguito a quell’intrigante esordio e sfornano,
care signore e cari signori impegnati alla lettura, un lavoro davvero splendido.
Partendo da alcuni “antichi” spunti e riprendendo, aggiornandolo (
beh, purtroppo, non molto è cambiato e il protagonista di “Spettri” si ritrova 1001 anni dopo quelle vicende ad affrontare un nuovo “viaggio” interiore per il superamento dei propri incubi, alimentati da un mondo ancora una volta dominato dall’egoismo e dalla violenza …), il
concept originale del debutto, i fiorentini sviluppano un’opera veramente “potente”, impregnata di ardore e ispirazione
settantiane e tuttavia mai oleografica o forzatamente
retrò, come purtroppo accade a molti dei recenti propugnatori del genere.
Del resto, stiamo parlando di musicisti molto esperti ed eruditi che negli anni hanno evidentemente continuato a coltivare la loro passione primaria (mi ha sempre fatto un po’ sorridere che parecchi di loro abbiano militato, nel periodo d’oblio degli Spettri, nei Dennis and the Jets!) per l’
hard e il
prog e che oggi annullano alcune ingenuità dell’esordio proprio grazie a questa straordinaria maturità tecnico-interpretativa.
In “2973 La nemica dei ricordi” la
band rivela tutta la sua innata ammirazione per i monumenti del settore (Black Sabbath, Atomic Rooster, May Blitz, Deep Purple, King Crimson, Van Der Graaf Generator, ELP, Colosseum e Uriah Heep) e la “piega”, analogamente ai grandi interpreti della scuola italiana (Metamorfosi, Biglietto Per l’Inferno, Balletto di Bronzo, Rovescio Della Medaglia, …), a una sensibilità e a un’ispirazione tipicamente autoctone, evitando che le pur nobilissime influenze finiscano per apparire schiaccianti e moleste.
Registrato in analogico (il
Cd è stato successivamente missato e masterizzato in digitale, ma l’incisione esce anche in una versione su vinile completamente
AAA!) e suonato con strumenti rigorosamente anni settanta, il disco si snoda senza un attimo di pausa tra dramma, enfasi e sperimentazione (“Il lamento dei gabbiani”, “La nave”, entrambe gratificate da spettacolari coloriture
Cremisi, “Onda di fuoco”, “La stiva”), squarci di cangiante
hard-prog (“La profezia”, “La nemica dei ricordi”, con i loro emozionanti ed evocativi finali) e atmosfere elegiache (“Il delfino bianco”, cantata da Elisa Montaldo del Tempio delle Clessidre, e il leggiadro strumentale celtico “L’approdo”, a cui contribuisce Stefano Corsi dei Whisky Trail), il tutto pilotato dalla laringe nerboruta di Ugo Ponticiello e dagli esuberanti tasti d’avorio di Stefano Melani, senza dimenticare il sax straniante di Matteo Biancalani, le chitarre sempre sensibili e ficcanti di Raffaele Ponticiello e una sezione ritmica, affidata a Vincenzo Ponticiello e Mauro Sarti, talmente affiatata e fantasiosa da assecondare e favorire ogni singola evoluzione di quest’affascinante affresco sonoro.
Un inebriante tuffo in un’epoca leggendaria … e il bello è che non sembrano per niente passati più di quarant'anni.