Che cosa è successo ai
Kadavar? Li avevamo lasciati intenti in
calembour magico-macabri, immersi nella loro viscerale devozione Sabbath-
iana (“Abra Kadavar”) e li ritroviamo oggi trasformati in un’autentica “macchina da refrain”, capace di sfornare a ripetizione linee melodiche contagiose e istantanee.
Ok, forse ho un pochino estremizzato i termini della questione, e tuttavia è innegabile che i tedeschi, pur non tradendo le prerogative iniziali, abbiano ampliato i confini del proprio vocabolario sonoro, riservando una cura speciale all’incisività delle loro composizioni, mai fino a ora così “ruffiane”.
Interpretazioni meno “subdole” e, in qualche modo, più “solari” e una maggiore varietà espressiva caratterizzano, dunque, questo nuovo “Berlin”, ma si tranquillizzino pure gli irriducibili, i nostri non hanno affatto perso la loro capacità di suonare
hard-rock grintoso e visionario.
Il tutto è semplicemente imbevuto di un’accentuata carica “comunicativa”, in grado di rendere il quadro complessivo decisamente godibile e, quantunque non proprio innovatore, almeno indice della volontà di variare la proposta senza fossilizzarsi in produzioni “fotocopia”.
Difficile stabilire se tale amplificazione stilistica possa essere tacciata di “programmazione commerciale”, in un
business musicale i cui meccanismi sono sempre più imperscrutabili … personalmente propendo per un’intrigante forma di crescita artistica, in grado di reggere piuttosto bene alla prova dell’ascolto reiterato e la cui “tenuta” sarà comunque da verificare alla distanza.
Al netto di ogni considerazione analitica, se vi piace il
R'n'R old-fashioned ficcante e diretto sarà abbastanza semplice lasciarsi repentinamente ammaliare dal
groove di “Lord of the sky”, "Filthy illusion”, "Stolen dreams” e “Spanish wild rose” (vagamente alla The Black Keys!), “roba” che mescola con disinvoltura The Who, Kinks, Cream, Thin Lizzy, Bloodrock e Ted Nugent, e li frulla vorticosamente come se i
bartender fossero gli Hellacopters.
“Last living dinosaur” rende omaggio ai
Sabs in maniera più evidente, non rinunciando a una spiccata “presa emotiva”, mentre l’afflato psichedelico di “Thousand miles away from home” è degno di artisti di lignaggio superiore, una categoria a cui francamente non credevo che i berlinesi potessero ambire.
Il
blues denso e vischioso di “Pale blue yes”, il tocco Kiss-
iano di "See the world with your own eyes” e le scansioni Zeppelin
esche di “Circles in my mind”, rappresentano ulteriori sfaccettature della variegata esposizione sonica, a cui si aggiungono le cromature di “The old man” e "Into the night”, capaci di rievocare barlumi dei mitici Budgie e della
NWOBHM più fosca e caliginosa.
Tornando alle “sorprese”, alzi la mano, poi, chi immaginava che tra i numi tutelari dei Kadavar ci fosse anche la “sacerdotessa delle tenebre” Nico … ebbene, la bella trascrizione della sua “Reich der träume”, offerta come
bonus-track dell’opera, conferma l’ampia cultura della
band (e chissà, a questo punto, che non si sia voluto indirettamente onorare un certo tipo d’immaginario artistico e capolavori assoluti della musica come il “Berlin” di Lou Reed e “Velvet Underground & Nico”…), accrescendo inevitabilmente la mia stima per un gruppo dalle consolidate qualità e dalle interessanti prospettive.