Scioglimenti, reunion, di nuovo scioglimenti e di nuovo reunion… In questi ultimi anni, dopo l’originario come back annunciato all’inizio del nuovo millennio e celebrato on stage nel corso dell’estate del 2002, i Candlemass ci hanno abituato a repentini cambi di idea e di umore, in continuo bilico tra l’effettivo ritorno anche da un punto di vista discografico ed i continui annunci di ennesime separazioni. Per fortuna, prima che la situazione potesse cadere nel ridicolo, mossa studiata a tavolino o sincero atto di spontaneità, i signori del Doom Metal mettono finalmente tutti a tacere con il tanto atteso e agognato nuovo album. A sei anni di distanza dall’ultimo studio album “From the 13th Sun”, dopo una lunga serie di documentari, best of e live album, tra i quali spicca l’ottimo doppio DVD “Documents Of Doom”, i Candlemass tornano con un nuovo album registrato dalla formazione più classica della band, quella che mancava dalle scene da ben 15 anni, dai tempi del live album del 1990 e del quarto monumentale capitolo discografico della band svedese “Tales Of Creation” (1989). Messiah, Mats, Lasse, Leif e Jan di nuovo assieme, non solo sui palchi di mezzo mondo, acclamati da migliaia di intransigenti e incalliti fan del periodo aureo della doom band per eccellenza (tra i quali il sottoscritto ovviamente), ma finalmente anche su disco, il disco che ogni fedelissimo della band ha aspettato per 15 lunghi anni. Quello che è stato in tutto questo periodo è agli occhi di tutti: un primo tentativo di proseguire il proprio cammino con un nuovo singer in “Chapter VI”, una doppia raccolta (“As it Is, As it Was”) e i due più controversi album della discografia della band, “Dactylis Glomerata” e “From the 13th Sun”, i quali hanno raccolto le più disparate opinioni, ma capaci di offrire unanime giudizio sul fatto che i Candlemass degli ultimi anni ’90 poco in comune potevano vantare con l’incarnazione più classica, e quindi anni ’80, della band. Da lì in avanti, prima il silenzio poi il ritorno, prima dal vivo e poi finalmente anche su disco, preceduto dal buon lavoro di Leif Edling con i Krux, ottima testimonianza dello stato di salute del principale songwriter dei Candlemass. Dopo un’esperienza probabilmente destinata a non avere immediato seguito, tutti i fan dei Candlemass non potevano che sperare in un ritorno in grande stile degli svedesi, ritorno sofferto ma quanto mai gratificante, rappresentato dal presente nuovo disco, l’omonimo. Mancava ai Candlemass il tradizionale disco omonimo e non poteva esserci scelta migliore per questo nuovo lavoro, quasi un manifesto programmatico che ci vuole rassicurare sul fatto che la band è tornata e facendo quello che ha sempre fatto meglio, Doom Metal. I padri fondatori di un genere che ha influenzato decine di band nel corso di un ventennio e che ancora oggi vanta svariati cloni (i recenti Doomshine sono solo gli utlimi in ordine cronologico), sono tornati a dettare legge con un disco che non sfigura affatto al fianco dei mostri sacri del passato più lontano.
Come tutte le reunion di band storiche che hanno popolato i passati 5/6 anni, i Candlemass (com’era lecito aspettarsi viste le premesse e la formazione presente) tornano con un disco che riprende proprio laddove i 5 musicisti avevano lasciato nel 1990, con il più classico e il miglior sound a cui la band di Edling ci abbia mai abituato negli anni. 10 brani incredibilmente ispirati nello stile di “Nightfall” o “Ancient Dreams”, essenziali, lenti, oscuri e morbosamente affascinanti, suonati con una potenza notevole, grazie ad una super produzione, ma grazie soprattutto alla qualità di quanto propone ogni singolo episodio di questo lavoro. Il tempo sembra non essere affatto passato e sicuramente gli anni di rodaggio seguiti alla reunion, hanno permesso alla band di ritrovare il giusto feeling non solo on stage, ma anche da un punto di vista compositivo, senza per questo suonare banalmente retrò ma dimostrando di avere ancora qualcosa di indubbio valore da dire. Bastano pochi attenti ascolti per rendersi conto di aver atteso non in vano tutti questi anni per un ritorno assolutamente all’altezza e che non fa certo rimpiangere i tempi passati: dall’incredibile prova di Marcolin alla voce, all’inconfondibile vena compositiva di Leif Edling, quello che tutti i fan della band avranno modo di ascoltare è il disco che chiunque avrebbe voluto dai Candlemass. “Black Dwarf”, “Seven Silver Keys”, la strumentale “The Man Who Fell From The Sky”, “Spellbreaker”, ogni singolo episodio qui raccolto ci presenta una band vitale, energica, dalle idee ben chiare e che non poteva meglio celebrare il proprio ritorno, a un anno dal ventennale di carriera.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?