Ho visto i
Riverside a Bologna
il quindici luglio scorso e se prima li apprezzavo adesso posso dire con una mano sul cuore di essermene innamorata. In quell'occasione hanno presentato il nuovo album “
Love, Fear and the Time Machine”, dando al pubblico l'occasione di saggiarne la qualità in anteprima: il risultato è stato un colpo di fulmine generale, l'evoluzione del quartetto polacco è stata approvata all'unanimità e a gran voce.
Spieghiamo subito cosa si intende per evoluzione: chi non conosce la band ascolterà “Love, Fear and the Time Machine”, lo apprezzerà moltissimo (perché un album così non può non piacere, è impossibile), posterà i suoi pezzi preferiti su Facebook e potrebbe addirittura comprarsi una copia fisica di questo gioiello, da esporre con orgoglio sulle mensole di casa per vantarsi con gli amici della ricercatezza dei propri gusti musicali. Gli
aficionados della band invece dovranno ascoltarsi l'album almeno una decina di volte per accertarsi che sia farina del sacco dei Riverside. Fino all'ultima release la band trasudava angoscia e rabbia ma ora questi sentimenti sono svaniti. E dove sono i pezzi da quindici e passa minuti, santo cielo, dove? È tutto sparito. In “Love, Fear and the Time Machine” c'è un approccio molto più luminoso e positivo, pur mantenendo una solida base malinconica; i brani sono molto più concentrati ma comunque pregni di significato. La semplicità è la chiave di tutto. Le grandi verità non hanno bisogno di discorsi pomposi per essere rivelate, questo i Riverside l'hanno capito e cercano di farlo capire anche a noi. Quello che abbiamo tra le mani è un album che parla della vita, dell'amore e della paura che ci accompagnano nel corso della nostra esistenza. Racconta con una profondità disarmante il processo mentale che ci guida quando i grandi cambiamenti ci sconvolgono; canta di rivoluzioni belle e terribili. “Love, Fear and the Time Machine” è così semplice, diretto e accorato da riuscire a sfiorare anche le corde di chi non ha alcuna dimestichezza con la lingua inglese e non può cogliere i significati letterali. Pochi album finora mi hanno colpita così tanto nell'intimo, scavandomi una voragine nel petto con una gentilezza fuori da ogni umana concezione.
La tentazione di sviscerare l'album analizzandone ogni singola traccia è forte ma non lo farò: non voglio privare chi deciderà saggiamente di ascoltarlo della possibilità di farlo senza il condizionamento delle parole altrui, che ci rimangono in testa volenti o nolenti. Voglio solo spendere qualche parola sulla traccia di apertura e su quella di chiusura: “
Lost (Why Should I Be Frightened By a Hat?)” è l'inizio di un'epifania, con quell'organo mistico che infonde un timore reverenziale bruscamente interrotto da un riff grezzo che sa di anni Settanta; “
Found (The Unexpected Flaw of Searching)” è la perfetta chiusura del cerchio, un brano disteso e sereno, anch'esso dal sentore
rétro.
“Love, Fear and the Time Machine” è una metafora della vita in musica, la compagnia ideale per lunghe e introspettive riflessioni. Non perdetevelo, sarebbe un peccato.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?