Adoravo gli
Ivanhoe. Non molto conosciuti, i tedeschi sin dal debut "
Visions and Reality" del 1994 mi avevano stregato, complici partiture a cavallo tra i Symphony X e un metal più tastieristico e pomposo, e grazie soprattutto all'ugola di
Andy B. Franck, che personalmente adoro. Dopo tre albums, la band aveva sostituito Andy con
Mischa Mang, cantante dotato ma con un background nei musical, che aveva portato a un'interpretazione più sofferta e forse meno potente, come del resto anche la proposta musicale del combo.
Il 2015 ci consegna il settimo album della band crucca e il terzo cantante,
Alexander Koch, che nel qui presente "
7 Days" fornisce un'interpretazione molto più sofferta e nebbiosa, meno potente dei suoi predecessori e più indirizzata verso la costruzione di atmosfere spesso tristi e decadenti. Ma è la musica circostante il vero problema di questo album.
Non so perché (gusti personali, ovviamente), ma gli Ivanhoe hanno completamente messo da parte la componente power all'interno della loro musica. Non che questo debba per forza essere un difetto, per carità; ma il risultato, in "7 Days", è una serie di canzoni preoccupantemente simili l'una all'altra, che somigliano agli ultimi Queensryche di Tate (al netto dei nani e i pagliacci). Un metal molto introspettivo, ma che non ha la forza espressiva, per fare un paragone facile, degli Evergrey, che nel guazzabuglio del depressoide si sono sempre mossi con perizia.
Qui la sensazione è di composizioni non ispiratissime, per quanto ben costruite e cesellate. Ma è un album che rischia di annoiare, se non si è perfettamente sintonizzati sull'onda emotiva della band di Soulas e soci.
Stavolta, purtroppo, mi tocca constatatre che la mutazione non ha portato un risultato soddisfacente. "7 Days" è un album un pò stanco, che coinvolge poco, fatta salva la qualità dei musicisti presenti.
p.s. Ma che razza di video avete fatto....
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