Ve li ricordate i Vangough? Si, no? Beh per tagliare la testa al toro, i Vangough sono un gruppo statunitense che, proprio all’inizio della mia carriera di “scarso giornalista” [cit.], hanno sfornato uno dei dischi più belli che io abbia mai ascoltato nella mia vita, “
Kingdom of Ruin”, concept basato idealmente su “La Collina dei Conigli” di Richard Adams e piccolo gioiello prog. Un prog poco improntato sulla perizia tecnica, molto sull’intimismo e sulla ricerca personale, sulla falsariga di band più celebri quali Pain of Salvation e Flower Kings.
Tutta questa premessa per dire cosa? Semplicemente che se mi avessero fatto ascoltare questo “
Purpose & Cause” senza dirmi nulla sul nome della band, avrei esclamato senza esitazione “Minchia il nuovo disco dei Vangough!”. E invece..
..e invece i
Benesser. Si dai, come per Pippi Calzelunghe il nome fa un po’ ridere, ma appena finite di farvi la risatina d’ordinanza, provate a concentrarvi un attimo sulla musica. Anche per i giovani svedesi, così come per i già citati americani, la parola chiave è “prog rock di classe”, senza manierismi o pippe tecniche fini a sé stesse. I Benesser sono un golem di classe pura, cristallina, privo di inutili orpelli.
E il tutto è chiaro fin dalle prime note dell’opener “
Naked We Die”, forse il brano più movimentato dell’intero disco, dove balza all’orecchi senza dubbio anche la splendida voce di
Robert Olsson, così simile a quella di Clay Withrow degli ormai ipercitati Vangough, con qualche nota del calore di Steven Wilson, che sicuramente non guasta. Da sottolineare come il buon Robert sia anche il bassista della band, con risultati altrettanto notevoli.
A fronte di una partenza in quarta, già dalla successiva “
Purpose & Cause” i ritmi calano di intensità e si mantengono su questi livelli bene o male lungo tutta la durata dell’album, in un tripudio di benessere (*risate registrate*) auricolare e di forte emotività. Attenzione, il calo del ritmo non corrisponde affatto a un calo delle prestazioni o della qualità, caratteristiche che rimangono immacolate. In più di un’occasione mi è capitato di avvertire qualche richiamo anche ai Muse, in particolare in alcune parti in cui la chitarra di
Henric Hermansson aumenta di vitalità e s’intreccia con la voce di Olsson, come sulla centrale “
Waterfalls”.
E’ vero, come detto giustamente da Alex nella recensione del
disco precedente, i Benesser non danno mai l’impressione di inventare nulla, piuttosto di interpretare alla propria maniera un qualcosa di già tracciato da altri, fatto però che non riesce proprio a diventare una pecca data la qualità della proposta svedese.
Escludere un brano del disco sarebbe davvero un affronto, così come citarne uno in particolare. Tutte le canzoni di “
Purpose & Cause” hanno motivo di esistere, chi per la propria dolcezza e chi per l’intensità emotiva, comunque mai per l’aggressività. Ipnotici e maturi, i
Benesser hanno conquistato in una cinquantina scarsa di minuti il mio cuore di ascoltatore e la mia penna di recensore. Fateli vostri e non ve ne pentirete.
Quoth the Raven, Nevermore..
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