I
Def Leppard sono tra i miei gruppi in assoluto da sempre.
Sia per l'eccellenza musicale che hanno prodotto dal 1980 al 1987, con quei quattro dischi capolavori assoluti che rimarranno per sempre nell'olimpo dell'hard rock/metal, ed ancora in maniera ottima con il seguente "
Adrenalize" e ci voglio mettere anche "
Retroactive", sebbene sia una sorta di collection con pezzi incompleti del passato, bonus track, b-sides e cover varie; sia per l'indiscutibile valore affettivo che nutro per la band di Sheffield, essendo state tra le primissime da me conosciute ed acquistate quando ero un ragazzino, quando nei miei 12 anni irruppe un disco come "
Hysteria" a sconvolgere tutta la mia vita successiva, musicalmente e non.
Poi, una volta terminata l'epoca d'oro, quando la magia se ne va e non ritorna, quando è impossibile comporre nuovamente dei capolavori ma rimane in ogni caso la classe per dar vita a nuovi dignitosissimi album, arriva l'ignominia di "
Slang", il buon ritorno di "
Euphoria" al classic sound defleppardiano, poi di nuovo il cambio di direzione con il poppettino di "
X" ed infine l'ultimo "
Songs from the Sparkle Lounge", che riportava in parte la band di Joe Elliott in carreggiata, ma senza entusiasmare. Anzi, considerando il fatto che praticamente io non lo ascolti dall'anno in cui è uscito (2008) e tralasciando volutamente l'orrendo album di cover "
Yeah" si può dire che il sottoscritto non trovi degno un disco in studio dei Def Leppard da ben 16 anni... praticamente un'eternità.
Dal nuovo album, sinceramente, mi attendevo tantissimo.
Un po' per le (ovvie) dichiarazioni di
Phil Collen, che introduceva l'album come quello con i suoni più rock (!) che avessero mai inciso e senza dubbio il migliore dai tempi di "Hysteria" (!!!), un po' perchè i dischi che si chiamano come la band... non so, mi danno sempre l'aria di chiudere solennemente una carriera, o di essere un capolavoro.
D'altra parte ero terrorizzato dalle parole sempre di Collen, che lo descriveva come una sorta di contenitore di tutti i generi, gli stili e le correnti che i Def Leppard avevano attraversato durante la loro pluritrentennale carriera.
Allora, alla luce di tutto questo, è valsa la pena attendere con tanta ansia l'uscita di questo "Def Leppard"?
Così è così.
Purtroppo Collen l'aveva raccontata giusta, ma non c'entrano nulla le chitarre rock nè Hysteria. C'entra solo il mega contenitore di generi, ed infatti qui dentro c'è di tutto, senza soluzione di continuità, senza un filo conduttore e soprattutto senza omogeneità, nè di stile nè di risultato.
Che è un disco assolutamente altalenante, capace di OTTIMI momenti, che non necessariamente sono quelli più rock: l'apertura riservata a "
Let's Go", una sorta di "
Pour Some Sugar on Me" mixata con "
Let's Get Rocked" a cui somiglia veramente moltissimo e non solamente nel titolo, è quasi un miracolo, un brano ruffiano che ci consegna subito una band ancora capace di emozionare, pur senza osare nulla anzi muovendosi su territori che conosce a menadito, con ritornelli cantati a pieni polmoni, breaks con i controcori, e le chitarre di Collen e
Campbell che effettivamente graffiano, sebbene molto patinate. Oppure la successiva "
Dangerous", che all'inizio pare davvero uscire dai solchi di "Hysteria" e che forse è quella più legata al primo periodo della band, con sonorità easy ma mai sconfinanti nel pop-rock.
Ma è capace anche di momenti assolutamente disturbanti, come la queeniana "
Man Enough", che pare la brutta copia di "
Another One Bites the Dust", un brano moscio e privo di qualsivoglia verve, ma mai forse quanto la scialbissima "
Energized", che a dispetto del titolo è senza dubbio uno dei pezzi meno riusciti della loro storia, una sorta di ninna nanna, ed il bello è che non è una ballad.
E poi c'è tutto il resto, che spazia dal carino al molto carino, dal decente all'ascoltabile, ma senza lasciare un segno profondo: "
We Belong" ha un mood rilassante e malinconico, da classico brano che chiude coi titoli di coda un film nostalgico anni '80 col falò sulla spiaggia ed il protagonista che, terminata l'estate, deve dire addio al suo amore, e tutto sommato dopo i quasi 20 ascolti che ho riservato al disco prima di stenderne la recensione è uno dei brani che più m'è rimasto dentro e che mi sono trovato a canticchiare la mattina, senza rendermi conto di farlo e senza riconoscerlo immediatamente.
Stessa sorte per la facile "
Invincible" che tuttavia ha il pregio di avere un bel tiro, un ottimo riffing di base, la solita classe innata e delle linee vocali su cui
Joe Elliott pare non invecchiare mai, ma purtroppo ci sono anche le varie "
Sea of Love", un rock settantiano che non convince, "
Battle of My Own", una sorta di country acustico di una noia mortale ma non si tratta del genere, quanto di pezzi davvero sottotono: il classic sound su "
Broke 'n' Brokenhearted" nulla può e non riesce a salvare un episodio davvero di basso livello per una band come quella dei Def Leppard e lo stesso dicasi per la seguente "
Forever Young", che non è nè bella nè brutta, ma tende decisamente alla seconda definizione e che, come nel caso del disco precedente, avrà la longevità di una settimana prima di scomparire per sempre nei meandri della nostra mente.
Nemmeno la ballad è all'altezza e "
Last Dance" lascia il tempo che trova, tre minuti di cui al termine non ricorderemo un secondo, uguale a millemila altre di altre millemila band.
Giusto il tempo di altri tre pezzi (troppi 14 brani, troppissimi!!!), l'energica e veloce "
All Time High", la noiosetta e triste "
Wings of an Angel" ma salvata in corner da un chorus favoloso, molto a-là-"Paper Sun", e la finalmente conclusiva "
Blind Faith", ennesimo brano troppo moscio, canzoncina che vorrebbe ambire ad una sorta di epico commiato, ma che nei primi 2/3 ha solo il risultato di assopire, con il minuto finale in crescendo che non riesce a salvare il risultato e che non consegna un giusto "arrivederci" al prossimo album, se mai ci sarà.
Troppo lungo, troppi filler, troppa altalenanza di generi e soprattutto troppe canzoni non all'altezza.
Rimane a mio avviso un disco migliore di "Songs from the Sparkle Lounge", ma più per demerito di quello che per bontà di questo, con qualche buon(issimo) acuto qua e là ma anche con diverso piattume e quattro o cinque episodi a metà tra il decisamente brutto e l'inascoltabile.
Ci accontentiamo?
Non lo so, certo a voltarsi indietro a guardare le epoche d'oro che non torneranno mai più la nostalgia cresce inesorabile, ma qualche momento in cui ti fanno tornare lo spensierato sorriso di una volta c'è ancora. A voi decidere se questo è abbastanza o meno.