C'erano una volta i Timoria, rock band nella quale militavano due personaggi che adesso sono molto noti al grande pubblico, vale a dire Francesco Renga e Omar Pedrini. Parecchi anni fa il primo lasciò il gruppo per dedicarsi alla carriera solista (e di certo gli è convenuto alla grande, visti i risultati ottenuti...), ma più recentemente anche il secondo ha deciso di prendere le distanze dal passato e di lavorare per conto proprio. A questo punto vi chiederete perché diavolo sto raccontando cose del genere, ma il motivo è facilmente spiegabile: l'ex batterista e l'ex bassista della formazione bresciana (vale a dire Diego Galeri e Illorca) hanno fondato i Miura nel 2002, e l'album che mi sto apprestando a recensire è il loro debut, anche se in effetti suona un po' strano utilizzare questo termine per una band composta da musicisti che tutto sono tranne che dei principianti (da notare che anche il chitarrista Killa aveva già avuto importanti esperienze anni addietro, in particolare con gli Zona e gli Alligator...). Detto ciò passiamo alla descrizione dei pezzi contenuti all'interno di "In testa": si tratta essenzialmente di composizioni dalla struttura semplice e lineare, che ci propongono sonorità in bilico tra le vecchie cose dei Timoria, l'alternative, la new wave italiana degli anni ottanta e il rock classico. Non ci sono canzoni molto tirate in questo disco ma in generale un po' tutte sono caratterizzate da una certa immediatezza, inoltre va sottolineato il fatto che il gruppo ha scelto di evitare le "super-produzioni" tanto in voga negli ultimi tempi, preferendo un approccio più vecchio stile. In poche parole i suoni non sono "pompatissimi" e ultra-cristallini, cosa che forse farà storcere la bocca a qualcuno ma che invece merita di essere apprezzata, se non altro perché oggi come oggi è una dimostrazione di anticonformismo! Riguardo al contenuto dei brani non è invece possibile fare una simile considerazione, perché essi si lasciano ascoltare con piacere ma non propongono nulla di clamoroso o di sorprendente (credo però che anche in questo caso, così come nel precedente, tutto dipenda da una precisa volontà della band...). In generale direi che il cd sarà apprezzato da un pubblico molto eterogeneo, difatti rappresenta una sorta di incrocio tra vecchio e nuovo che con ogni probabilità potrà attirare generazioni differenti (basti pensare che sentendolo vengono in mente i nomi più svariati, dai Verdena ai Diaframma passando per gli Afterhours!), ma è ovvio che mi riferisco più che altro agli appassionati di rock, perché dubito che i metal-heads (specie quelli più intransigenti) ne saranno molto attratti...
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