A mio avviso la bontà di vari progetti "all-star" si valuta prima di tutto dalla dimensione live: se un team di musicisti universalmente riconosciuti come sensazionali sa coinvolgere oltre che suonare dannatamente bene il gioco è fatto. Il trio in questione da questo punto di vista non ha eguali nel panorama odierno, tant'è che il sottoscritto spera che venga confermata qualche data in più per il 2016 nel nostro Bel Paese. Entrando nel merito di
"Tres Caballeros" Marco Minnemann,
Guthrie Govan e
Bryan Beller, giunti alla terza fatica discografica, non cambiano più di tanto la formula finora osservata "spartendosi" la composizione dei 9 brani in modo equo (3 a testa) e curandone insieme l'arrangiamento. Se volessimo ridurre ai minimi termini i fini compositivi dei tre assi si potrebbe dire, a grandi(ssime) linee, che i brani di
Minnemann sono quelli più "divertenti e divertiti", quelli di
Beller i più "rock" e quelli di
Govan i più "ricercati", il tutto con un altissimo tasso di autoironia (fondamentale in operazioni simili) che traspare chiaramente tanto dai titoli dei brani quanto dalle grafiche sempre molto curate e "simpatiche". L'album si apre con
"Stupid 7", un brano abbastanza tirato composto da
Minnemann che in alcuni punti sembra rimandare alla recente esperienza del batterista e del chitarrista alla corte di Steven Wilson. La successiva
"Jack's Back" gioca molto sui contrasti dinamici (così come le successive e notevolissime composizioni di
Govan "Pig's Day Off" e
"The Kentucky Meat Shower") mentre
"Texas Crazypants", di
Beller, torna a spingere sull'acceleratore con un "imprevisto" finale blast beat.
"ZZ Top" ha nel titolo tutto quello che c'è da sapere, con i suoi riff chiaramente ispirati alla band texana, mentre il pezzo forte del disco è, a giudizio di chi scrive,
"Smuggler's Corridor", ovvero lo "spaghetti western" secondo
The Aristocrats.
"Pressure Relief" torna su lidi "morbidi" che accosterei a certi momenti strumentali dei Toto mentre la chiusura è affidata a
"Through The Flower" che, purtroppo, è il vero anello debole dell'album, un brano che "non parte" mai veramente, troppo lungo e inconcludente (tant'è che finisce sfumato). Quando potresti suonare un milione di note velocissime a "
un volume che ti fa dolore" (cit. Elio e le Storie Tese) ma hai capito che ne bastano cento ben definite e a un volume appropriato hai compiuto il passo più importante per dare un senso e una continuità a un progetto di questo tipo: i
The Aristocrats lo hanno capito molto bene.
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