Il mio approccio di ascoltatore, negli anni, ha visto un progressivo abbandono del diffidente immobilismo metallico in favore di un più ardimentoso spirito di scoperta di terre -per me- ignote. Sempre più spesso, dunque, mi trovo a salpare come un novello
Magellano, lasciandomi alle spalle le rassicuranti lande della nostra musica prediletta.
A differenza del buon
Ferdinando, io qualche rotta sgradita ce l’ho eccome: non appena avvisto destinazioni anche solo vagamente imparentate col
*core e l’
hip hop, per esempio, tendo a invertire la rotta e a tornare in mare aperto alla massima velocità possibile.
Altre volte, bighellonando tra flutti e correnti, capita d’imbattersi in piccoli atolli pressoché inesplorati: in questo caso, l’isoletta era popolata da due loschi individui sinistramente simili a
Walter White e
Jesse Pinkman (protagonisti di
Breaking Bad, per le 4-5 persone al mondo che non hanno visto la serie).
Anche grazie al bizzarro, ma suggestivo, artwork di copertina, la curiosità ha sconfitto la diffidenza, tanto che ho deciso di gettare le ancore e di concedere a “
The Sheltering Sky” una chance.
D’altra parte, come si sa, non sempre la curiosità è buona consigliera…
Ok, ok, smettete di mugugnare: esco definitivamente dalla metafora marinaresca.
Tanto per esser concreti: quest’oggi narriamo le gesta di una band che col
Metallo Pesante non c’entra granché.
I collegamenti? Beh, i
Dead Soul incidono per
Century Media; condividono attualmente il palco coi sempre più famosi
Ghost; sono stati scoperti, in occasione del loro debut “
In the Darkness” (2013), dal singer degli
In Flames Anders Fridén…
Come dite? Quest’ultima circostanza non sancisce alcun legame col metal?
In effetti non avete tutti i torti.
Ma torniamo a noi: di che genere parliamo dunque? Se mi credete, non lo so.
Mischiate il suadente
dark elettronico anni ’80 di certi
Depeche Mode a quello più sincopato dei
Nine Inch Nails, dopodiché incastonate il tutto su una solida base
country/
blues e aggiungete all’amalgama calde vocals da crooner consumato.
Più facile a dirsi che a farsi, me ne rendo conto. Infatti, nemmeno ai
Dead Soul è riuscito benissimo.
Basta una rapida scorsa alla
tracklist per individuare numerose criticità:
- “
Until the Last Breath” sfoggia un’intro dal sound Commodore64-iano, un chorus meno evocativo di quanto vorrebbe e una coda strumentale tanto pleonastica quanto stiracchiata;
- “
Shattered Dreams” si fa preferire in virtù del gradevole taglio western, ma la staticità strutturale ne inficia la resa in modo sin troppo evidente;
- anche “
Abyss” è azzoppata da un immobilismo eccessivo, e la linea vocale non possiede forza evocativa sufficiente a salvare il brano;
- “
Thy Will be Done” sembra indecisa tra rock e pop, tanto da creare un ibrido piuttosto insipido e spurio.
A mio avviso andiamo meglio con:
- “
The Fool”, dal piglio meno algido e più sbarazzino;
- “
Home by the Sea”, che mi ha ricordato i cari, vecchi
The Cure dei tempi andati –nonostante alcuni arrangiamenti strampalati anzichenò-;
- la doppietta “
Dirt Road” / “
The Final Day”, dalla quale emerge un intimismo cantautoriale in grado di valorizzare l’impostazione canora e di far sbocciare un calibro emotivo purtroppo latitante altrove.
Valutato nel suo insieme, “
The Sheltering Sky” non convince appieno, non appassiona, denuncia passaggi ripetitivi, melodie senza mordente e scollature nelle diverse anime che compongono il sound.
Coraggio, doti e talento ai
Dead Soul non mancano, ma a partire dal prossimo full sarà necessario incrementare la continuità del songwriting e la solidità della direzione artistica.
La morale, per quel che mi riguarda, appare scontata: partire all’avventura per perlustrare nuovi lidi musicali è cosa buona e giusta… ma spesso ci si accorge che in pantofole, al calduccio, nella propria accogliente casetta, si sta meglio.
Pertanto mi congedo e torno ad ascoltare l’ultimo
Slayer.