Valutare un disco dei Litfiba è cosa ardua e si rischia facilmente di scadere nella retorica, sottolineando quanto questa seminale band abbia regalato al panorama musicale italiano; alquanto superficiale è la considerazione di molti secondo cui il gruppo da quando non c'è Pelù, storica voce, non ha più ragione d'essere: ed è qui che ci si sbaglia: da quando il popolare cantante ha intrapreso la carriera solista, lasciando il moniker Litfiba al grande chitarrista Ghigo Renzulli, dopo una evidente flessione artistica, ma non commerciale ("Infinito", ultimo disco con Pelù alla voce, ha venduto circa 900.000 copie), la band è letteralmente rinata sfornando due ottimi album di rock genuino e suonato col cuore, di grande qualità. Oggi, a ben 4 anni di distanza da "Insidia", torna il quintetto fiorentino, arricchito dal come back alle tastiere di "don" Antonio Aiazzi, con un disco controverso, intrigante e assolutamente unico, come solo i Litfiba saprebbero fare. La cosa più ovvia e prevedibile sarebbe stata quella di proporre un disco di una dozzina di canzoni rock, semplici, dirette, ben suonate e in pieno stile nuovi Litfiba: proprio qui si vede invece il grande coraggio, il valore e la maturazione artistica della band che invece offre un album controverso, brillante, minimalista, che valorizza ogni accordo, ogni nota, con arrangiamenti raffinati e perfetti sancendo una completa crescita musicale, senza termini di paragone; la cosa che potrebbe dispiacere è senza dubbio la durata (33 minuti), ma vi assicuro che la qualità di ogni composizione e la grande eleganza di questa musica è fatta per essere apprezzata in ogni minimo particolare e per questo un breve minutaggio non ha importanza in questo caso. Partiamo però dalla produzione che vede la singolare scelta di una console di registrazione live, la Cadac, utilizzata nei concerti anche dai Rolling Stones: la volontà è quella di creare un sound caldo e molto diretto che possa ricordare un live anche se ripulito e preciso. La mossa si rivela assolutamente vincente e unica nel genere: ascoltando il disco con un buon impianto hi-fi o in cuffia è possibile apprezzare le sfumature di una produzione davvero incredibile che rende il sound tridimensionale, ricco e che valorizza al massimo gli strumenti (ad esempio ci sono dei pezzi molto rilassati in cui una batteria dura e preponderante avrebbe rovinato l'atmosfera, mentre viene gestita benissimo consentendone una presenza importante ma non prevaricante sugli altri strumenti che in quel preciso punto devono trovare più spazio). "Essere o Sembrare" si apre con "La tela del Ragno", grandissimo pezzo rock, molto oscuro, con chitarre orientaleggianti, stacchi di tastiera incisivi e un Cabo che ci conduce nei meandri di un testo bello e particolare; "Sette vite" a mio parere è la canzone meno stimolante del disco e si sviluppa su un giro di chitarra abbastanza canonico senza particolari sussulti anche se l'assolo finale di Ghigo ne alza nettamente la qualità. La terza traccia, "Stasera", è una bellissima rock song che dal vivo promette scintille, con uno stacco di chitarra da brividi, un testo divertente e scanzonato, un tiro invidiabile; giungiamo così al singolo "Giorni di vento", ballata rock rilassata, sognante, che impressiona per dolcezza e mobidezza del suono, con un cantato molto convincente di Cabo (in questo disco è davvero maturato, perfezionando un suo stile vocale unico e riconoscibile, alla faccia di chi in passato lo ha bollato come clone di Pelù); "No mai" è forse il più classico pezzo dei Litfiba, rock duro e chitarrone in prima fila con un testo aggressivo e diretto, per altro già rodata nel precedente tour; con "Alba e tempesta" torna un'atmosfera più rilassata per una ballata assolutamente riuscita in cui basso e chitarra si sposano alla perfezione creando una trama musicale molto bella su cui la calda voce di Cabo si adagia perfettamente. "Prendere o lasciare" è un'allegra canzone rock con un giro di chitarra che rimane stampato in testa dal primo ascolto, mentre "Mistery Train" risulta abbastanza particolare, forse lascia spiazzati ad un primo ascolto, ma una volta metabolizzata regala ottimi spunti musicali (il bridge e il ritornello sono da brividi), abbastanza inusuali per la band fiorentina. Il pezzo di chiusura del disco "Sottile ramo" è forse il più particolare, un pezzo oscuro e con una trama originale ma assolutamente coinvlgente (il testo di Giamma è una perla, incantevole e poetico). I grandi dischi hanno sempre spaccato la critica e i giudizi del pubblico, io sono convinto che questo disco rappresenti un punto di arrivo e di partenza per i Litfiba, una sorta di apax nella loro discografia che con il tempo verrà apprezzato anche da chi inizialmente lo può aver criticato. Ancora una volta e come sempre non hanno fallito.
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