Sono stato molto titubante nello “affrontare” questa recensione. E per svariate ragioni.
Innanzi tutto, il timore di diventare eccessivamente “nostalgico” e “sentimentale” al cospetto di un gruppo che ho seguito e adorato fin dagli esordi e che, a quanto sembra, purtroppo, con “
Opus” ha deciso di porre fine alla sua straordinaria parabola artistica.
E poi la paura di non riuscire a comunicare attraverso la parola l’emozione incontenibile che il disco mi ha trasmesso, una ridda di sensazioni davvero intense e certamente non facili da “spiegare”, in modo particolare a chi consuma la musica come una “semplice” forma d’intrattenimento e non la assapora, con i tempi “giusti”, come un’autentica manifestazione artistica.
Se leggete questi “sproloqui”, è perché è prevalsa ancora una volta la necessità di gridare al “mondo” la grandezza degli
Adramelch, il loro incredibile e carismatico potere immaginifico, il senso di eleganza e la tensione emotiva che la loro musica infonde in quantità smisurata, lo stupore che ogni nuova produzione discografica è in grado di suscitare nei sensi di chi sa accogliere come merita l’ennesimo monumento sonoro di una storia inattaccabile.
Ad aiutarmi a scongiurare il rischio di un eccessivo
amarcord, diciamo subito che il gruppo milanese non è assolutamente interessato a fossilizzarsi nella celebrazione di glorie passate e che la sua spinta creativa ha condotto il suono a toccare nuove vette espressive, pur mantenendo saldi quei principi di enfatica maestosità tipici di una personalità schiacciante e,
finalmente, distintiva.
Così, pur potendo in qualche modo “convocare” le effigi di maestri del calibro di Warlord, Queensryche, Enchant, Fates Warning e Magnun, siamo di fronte a un raffinatissimo ed esclusivo prototipo di
epic-prog-rock metallizzato, di un geniale fabbricante di oniriche ambientazioni armoniche, pilotate dalla superba e inconfondibile vocalità di Vittorio Ballerio, un cantante che sarebbe degno di riconoscimenti ben più gratificanti di quelli ottenuti finora nella sua pluriennale carriera professionale.
Lontano dall’autocompiacimento retrospettivo, il programma di “
Opus”, senza la benché minima pausa, è in grado di materializzare fantasie mitologiche di rara suggestione, in cui la componente arcana e “favolistica” sconfigge l’apologia della forza “bruta” non perdendo una stilla di efficacia e di capacità seduttiva.
Impegnarsi in citazioni “di merito” è francamente improponibile, allo stesso modo in cui cercare di descrivere minuziosamente ogni brano dell’albo ridurrebbe l’intera operazione a un accidentato “esercizio di stile” alla fine verosimilmente poco utile a convincere chi legge dell’imponente statura dell’opera … mi limiterò a consigliare con veemenza queste dodici stesure perennemente evocative, melodrammatiche e melodicamente superiori a chi “vive” la musica nella sua “pienezza” e possa assistermi, con il suo fattivo contributo, nel tentativo di far cambiare idea agli
Adramelch … rassegnarsi, senza “combattere”, a un panorama musicale privo della loro arte sarebbe un peccato mortale.