E’ qualche anno che l’Australia, dal punto di vista musicale, mi regala grandi soddisfazioni. Ho appena recensito e incensato il debutto dei Gods of Eden, ancora memore di quel capolavoro djent-core dei Circles, e ora mi ricapitano tra le mani, dopo un passaggio tra quelle sapienti di Pippo, i
Teramaze. Altro discone coi fiocchi come i precedenti e come i sopracitati conterranei canguri? Of course.
Sgombriamo il campo da equivoci: i Teramaze ci sanno fare, hanno alle spalle una lunga carriera come musicisti e ormai hanno consolidato il loro sound..o dovrei dire avevano.
Da sempre figli di un prog parecchio influenzato da richiami più moderni e originali, a tratti –core, gli australiani in questo nuovo “
Her Halo” si uniformano invece leggermente alle proposte più mainstream del prog mondiale, con richiami forti a Dream Theater e ai conterranei Vanishing Point, complice soprattutto il cambiamento al microfono, che ha visto l’abbandono del vocalist storico Brett Rerekura in favore del giovanissimo e semi-sconosciuto
Nathan Peachey. Segnatevi il nome, perché il ragazzo farà strada: voce potente e cristallina, che tra le sue pieghe richiama i più grandi del settore, da James LaBrie a Michael Eriksen, passando per Tommy Karevik e finendo con Ray Alder, riuscendo a coniugare queste somiglianze in un’ugola unica, con un range vastissimo (sentitevi la nota che becca alla fine di “
Out of Subconscious”), sempre padrona del pezzo e mai messa in secondo piano. Bomba, pur nella sua estrema diversità dalla voce di Rerekura, che caratterizzava in maniera netta i precedenti album dei canguri.
Detto questo, per adattarsi alla voce di Nathan, la musica dei Teramaze è stata leggermente snaturata, cosa che può piacere o meno. Il lato positivo è senza dubbio una maggior eterogeneità della proposta, figlia di sperimentazioni e soluzioni sinora mai presentate, decisamente più melodiche e classiche. Il lato negativo (forse) è che, così facendo, i Teramaze rischiano di non spiccare più a livello di originalità, finendo col mischiarsi al gruppone dei figli dei DT, avendo abbandonato quasi del tutto quell’aggressività che caratterizzava i precedenti lavori. Va però aggiunto un particolare fondamentale: tra la prole di Petrucci e soci, i Teramaze sono senza dubbio tra i più bravi, disciplinati e ubbidienti figli che si possa desiderare. E coraggiosi.
Si coraggiosi, perché non si può definire diversamente da “coraggio” l’iniziare un album con una suite di 12 minuti qual è “
Ordinary Dream (Enla Momento)”, scelta rischiosissima anzichenò, dato che si rivela alla fine la canzone più interessante del lotto. Un mix tra i nuovi e i vecchi Teramaze, un passaggio di consegna ideale, un brano perfetto per farci conoscere la coloratissima voce di Peachey, cesellata da passaggi chitarristici d’una meraviglia rara (
Dean Wells è un manico notevole, oltre che penna di tutto rispetto) e da ariose aperture strumentali.
“
To Love, a Tyrant” è un brano prog dei più classici e precede il singolo e title-track “
Her Halo”, forse il pezzo più radio-friendly mai scritto dai Teramaze: mellifluo, melodico all’inverosimile e positivamente catchy, è però in un brano come questo che gli australiani si dimostrano gran band, evitando di risultare pacchiani e banali.
Banalità che non colpisce la già citata “Out of Subconscious”, a tratti mero esercizio di stile per la voce di Peachey, ad altri brano complesso e meravigliosamente interpretato dalla totalità della band, in particolare grazie a una sezione ritmica imponente. Di contro “
Trapeze” è un monito alle qualità chitarristiche di Wells, con passaggi di una bellezza pro-lacrime. In mezzo troviamo una “
For the Innocent” che ha forse il ritornello più bello del disco, memore del passato più sperimentale della band, a fronte di una strofa su linee più soft, in un connubio che mi ha ricordato gli Anubis Gate del periodo Jacob Hansen (altro paragone “scomodo” per l’ormai onnipotente Peachey).
Jacob Hansen che non per niente ha curato la produzione di “Her Halo”, confermandosi come uno dei produttori più talentuosi e di buon gusto del globo, così come talentuoso e di buon gusto è l’autore della cover (non ho materiale a disposizione e mi sfugge il nome, mi voglia perdonare), che mi ha ricordato non poco quella di “Dead Heart in a Dead World” dei Nevermore.
Che dire quindi di questo “
Her Halo”? Senza dubbio un album qualitativamente più che eccellente, assolutamente uno dei migliori in ambito prog di questo 2015, che però latita di quell’originalità che caratterizzava i precedenti lavori della band australiana. Onestamente però, diciamocelo, è così importante quando il valore dei brani e del songwriting è così alto? Per quanto mi riguarda no, ed è per questo che i
Teramaze si meritano in pieno tutti gli incensi e le lodi piovutegli addosso nell’ultimo mese.
Quoth the Raven, Nevermore..