“
Uno dei vantaggi dell’essere disordinati è che si fanno costantemente delle scoperte entusiasmanti”.
A voi decidere che credibilità assegnare ad un aforisma dello scrittore
Alan Alexander Milne (ricordo ai metaller più disattenti e truci che parliamo del creatore di
Winnie Pooh); io, da maniaco metodico compulsivo dell’ordine quale sono, non potrei esser più d’accordo.
Ebbene, gli
AtroruM, oltre che disordinati, sono anche generosi, e permettono quindi a tutti gli interessati di godere della bellezza del caos da loro generato.
Prima che le mie parole vengano equivocate, ci tengo a precisare che il marasma sonoro ordito dai musicisti bavaresi è tutt’altro che disorganizzato o disorganico. Istrionico, eccentrico, cerebrale, questo senz’altro, ma al tempo stesso attento al tessuto melodico e al fattore coinvolgimento. Il che, nel genere proposto, è proprio ciò che separa le buone band da quelle che puntano solo a spiazzare l’ascoltatore inserendo esercizi di stile a raffica e commistioni dei generi più disparati senza il minimo costrutto compositivo.
Già, ma qual è il genere proposto?
Partiamo da un presupposto di base: “
Structurae”, così come ogni singola canzone che lo compone -fatta eccezione per la superflua outro “
Regnum Caelorum”- può venir inquadrato alla stregua di un inestricabile groviglio di impressioni, commistioni, sperimentazioni e influenze, che vedono innalzare su fondamenta
avantagarde e
symphonic black metal estrose costruzioni di
prog estremo,
jazz,
musica da camera (!),
valzer (!!) e
reggae (!!!).
Vi ho spaventati?
Beh, allora mettiamola così: pensate a una instabile commistione di
Solefald,
Aenaon,
Dimmu Borgir,
…And Oceans,
Hail Spirit Noir e
Spiral Architect declinata con la teatralità dell’immortale “
La Masquerade Infernale” degli
Arcturus.
Ora va meglio?
Comunque vogliate inquadrare la proposta di
Jasper Werhahn e
Fabian Ziegler (ma poi: è davvero necessario farlo?), concedetele qualche ascolto per metabolizzarne le asperità.
Parliamo pur sempre di brani schizofrenici, di notevole durata e complessità, con criptiche lyrics in inglese, tedesco, francese, latino, greco e… boh, altro. Brani che sapranno stupirvi da subito per le prelibatezze tecniche e gli spettacolari arrangiamenti, ma che solo a partire dal terzo-quarto ascolto riusciranno a dimostrare tutto il loro valore.
Al netto di un artwork di copertina poco efficace e di alcuni passaggi troppo autoindulgenti (penso all’astrusa sezione strumentale di “
Große weiße Welt”, o all’entropia cosmica di alcune porzioni di “
Ψαλμός”), ci troviamo davvero di fronte ad un lavoro ricco e affascinante, che farà la gioia dei nostri lettori più avventurosi.
Potrei soffermarmi sulle splendide digressioni pianistiche di “
Camouflage”, sulle inquietanti atmosfere dipanate da “
Amapolas” e “
Verfugung” -a mio avviso tra le migliori del lotto- o sul folle riffing dell’opening track “
Menschein”, ma sono convinto che svelare troppo di un album come “
Structurae” finirebbe per svilirne l’effetto sorpresa.
Il 2015 si è rivelato, soprattutto nei suoi primi mesi di esistenza, anno oltremodo prolifico per l’
avantgarde; ebbene, in mezzo a tanti colleghi più noti e stimati, i Nostri dimostrano di poter tranquillamente dire la loro, pur consci delle limitatissime velleità commerciali che il loro sound può garantire.
Io, nel mio piccolo, faccio quel che posso per perorare la causa: gli
AtroruM, con questo bellissimo “
Structurae”, hanno osato; se le finanze vi assistono, fatelo anche voi. Scoperte entusiasmanti vi attendono.