Ve li ricordate i Sahara Dust? No? Va bene..allora facciamo più semplice: li conoscete gli Epica? Ecco, i Sahara Dust non sono nient’altro che la prima incarnazione degli Epica e la signorina
Helena Iren Michaelsen era la vocalist di quel gruppo, di cui Mark Jansen era già leader, dopo la cacciata dagli After Forever. La Michaelsen però era un po’ troppo accentratrice (pare), quindi venne allontanata in favore di Simone Simons, all’epoca fidanzata del buon Mark.
La Michaelsen decide così di ritornare per un po’ nella natia Norvegia, salvo riprendere un aereo per l’Olanda e, assieme al batterista
Steve Wolz (anche lui un ex Sahara Dust), fondare i quipresenti
Imperia. Direte voi, che faranno mai questi Imperia? Gothic symphonic female fronted metal. Come gli Epica? Come gli Epica.
La differenza? Beh il sound degli Imperia è molto più orchestrale e sinfonico, più cinematografico, avvicinandoli più ai Nightwish che ai fratellastri olandesi, privi soprattutto di quella componente death che da sempre caratterizza il sound della band di Jansen. E la bona (la u mancante non è un refuso, check Google) Helena Iren Michaelsen ha una voce da soprano ma non lo da moltissimo a vedere, preferendo un approccio più canonico, meno lirico e a volte addirittura ruvido.
Questo “
Tears of Silence” è il quarto album della decennale carriera degli Imperia ed è un album che presenta al suo interno tutte le caratteristiche del genere proposto dagli olandesi (norvegesi, tedeschi, belgi..c’è un po’ di tutto). E’ prevedibile, anche troppo, decisamente poco originale ma molto ben suonato e cantato, con qualche brano che scavalca la sufficienza in maniera netta: molto bella è ad esempio la seconda “
Crossroads”, quasi kamelotiana, così come la penultima “
Innocent Child”, oscura e misteriosa. Il resto suona esattamente come vi aspettereste, con alle spalle un’ottima produzione, pomposa e cristallina, che non guasta mai.
Insomma gli
Imperia sono solo ed esclusivamente per amanti del genere, perché per gli altri un album come “
Tears of Silence” rischia di assomigliare fin troppo a qualsiasi album della carriera dei 3-4 gruppi già citati in recensione. Bello si, ma apparentemente posticcio, e questa cosa proprio non riesce ad andarmi giù.
Quoth the Raven, Nevermore..
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