E’ un vero peccato che l’ascolto di “
Songs of solitude & sorrow”, debutto autoprodotto (!) dei
Permian Incident arrivi quando i “giochi” per la
Poll dedicata agli scribacchini di questa
gloriosa webzine siano già conclusi: di sicuro i norvegesi si sarebbero guadagnati una menzione d’onore tra le mie “sorprese” dell’anno, se non addirittura un posticino nella classifica dei migliori del 2015, in un settore, quello del
prog-metal (per i “perfezionisti” delle categorie, sarebbe meglio parlare di
hard-prog), che personalmente non mi ha riservato moltissime scosse emotive nei tempi recenti.
Attraverso un sagace e variegato
mix sonico, in cui vengono frullati Deep Purple, Uriah Heep, Dream Theater, King Crimson, Genesis, Yes e Pain Of Salvation, senza dimenticare nobili suggestioni della scena scandinava quali Aunt Mary, Blind Orphans (di cui ha fatto parte il batterista
Torbjørn Dybsand), The Flower Kings e Black Bonzo, i nostri confezionano un albo di notevole valore artistico, capace di grande tensione espressiva e di funzionale virtuosismo, dimostrando che anche attingendo a piene mani dalla storia del
rock si può essere “carismatici”, manipolando con innata sensibilità quegli immarcescibili insegnamenti.
Dimenticatevi parossismi strumentali e
machismi esecutivi e lasciatevi trasportare da questi settantotto minuti di pulsanti evocazioni musicali, condotte dalla preziosa laringe di
Johannes Hulleberg (paragonabile, con un pizzico d’immancabile gusto per l’iperbole, a un’interpolazione timbrica tra Ian Gillan, David Byron, Geoff Tate e Peter Gabriel!), un’autentica “meraviglia” all'interno di un disco davvero molto sorprendente.
Come sempre, in tali situazioni, è molto complicato selezionare i brani più rappresentativi, e anche un’analisi puntuale del programma finirebbe per essere parziale e, forse, poco efficace … mi limiterò, dunque, a consigliarvi di approfondire con attenzione ogni istante dell’opera, inebriandosi con le scenografie sfarzose ed esotiche di “
Sinless perfection”, lasciandosi avvolgere dalle cadenze caliginose di “
True or false” e dall’estasi melodrammatica di “
The godless goddess” (
Sabs, Pink Floyd, Queensryche e
Purple condensati in un unico appassionante frammento sonoro …) o ancora veleggiare sulle note malinconiche di “
Troubled straits”, rievocare cangianti ed enfatiche ambientazioni
hard-rock-blues (come potrebbero intenderle i mitici Dark Quaterer … svariate le affinità attitudinali tra i due gruppi) con “
Paradise faded”, finendo poi per abbandonarsi definitivamente alla
suite finale “
Oh death, oh fear”, un quarto d’ora abbondante di poetiche e intense fluttuazioni emozionali, dal fascino “antico” eppure mai obsoleto e vetusto.
I
Permian Incident sfornano un lavoro da non perdere, ma voglio anche “condividere” (una roba molto
à la page, in tempi di
social-ismo sfrenato!) con il lettore la netta impressione che possano in futuro perfino fare di meglio (magari “asciugando” qualche lieve prolissità di taluni passaggi compositivi) … non vedo l’ora di poterlo verificare, mentre m’immergo per l’ennesima volta in questo emozionante e visionario viaggio fatto di
Solitudine,
Tristezza e di tantissimo talento.