Mai avvicinarsi a un disco con aspettative troppo elevate, soprattutto se, come il sottoscritto, si appartiene alla “vecchia scuola” che acquista ancora musica a scatola chiusa. Sulla carta questo
“Exodus” avrebbe dovuto sancire il debutto di un nuovo promettente super-gruppo capitanato dal chitarrista canadese
Tom Frelek (che dal 2013 prova senza successo a “sfondare” nel mondo progressive metal) ma nonostante il supporto di
Henrik Båth (voce dei Darkwater, qui probabilmente il migliore dal punto di vista prestazionale) e di nomi molto più noti quali
Marco Minnemann (Joe Satriani, Steven Wilson e tanti altri) e
Mike LePond (Symphony X) non centra appieno l’obiettivo. La causa? Un songwriting assolutamente “nella media”, dove la batteria e il basso li avrebbero potuti suonare, ahimè, chiunque e non sarebbe cambiato nulla (sfido un solo ascoltatore, senza saperlo, a riconoscere i guest di cui sopra). I
Waken Eyes aprono le danze con lo strumentale
“Cognition”, un buon incipit a cui fa seguito il primo mezzo passo falso
“Aberration”, una traccia prolissa e colpevolmente “scarica” se l’obbiettivo è quello di invogliare l’ascoltatore ad arrivare serenamente alle fine dei 78 (!) minuti complessivi di musica proposti dal combo. Si corregge il tiro con
“Defeaning Thoughts”, mentre con il singolo mancato
“Back To Life” i nostri strizzano l’occhio alla musica più mainstream.
“Cornerstone Away” è un buon duetto con voce femminile, tra gli apici del lavoro, mentre
“Still Life” è un altro godibile brano strumentale dal minutaggio (finalmente) contenuto.
“Arise” cerca di spingere di più sull’acceleratore e prepara il terreno per un nuovo cambio di passo dal titolo
“Across The Horizon”. Poteva mancare la suite finale di quasi 19 minuti? Certo che no.
“Exodus” ha i suoi buoni momenti ma, ancora una volta, siamo di fronte a poche ottime idee diluite in tantissimi e interminabili minuti di ordinaria amministrazione. Qualcuno ha scritto che l’album è “gradevole”, per me è semplicemente “non all’altezza”. Deludente.
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