Unite
Fear Factory a
Chimaira,
Machine Head, ultimi
Pantera e aggiungete una spruzzatina di
Slayer qua e là e otterrete all’incirca il suono, la musica e le linee vocali di questa band francese di
Châtellerault.
Si tratta fondamentalmente di un death thrash con le tipiche ritmiche groove che hanno fatto la fortuna delle band precedentemente citate. Il suono è curato e ha il giusto impatto sull’ascoltatore e così pure le linee vocali. Anche la grafica della copertina e le foto della band a corredo, sono in tema perfettamente.
Però ascoltando e riascoltando questo album, più di qualcosa non mi convince. Le tracce sembrano essere ripetitive e in un certo senso incompiute, manca qualcosa di decisivo che invii all’orecchio e al cervello la sensazione di appagamento sonoro, ossia quel quid che ci convinca che i pezzi sono sufficientemente belli. Cerco di essere più preciso nel comunicavi questo tipo di sensazione personale, sperando di essere più comprensibile. Proprio nel momento in cui il brano potrebbe spiccare il volo e differenziarsi dagli altri, ritorna lo stesso refrain e si resta sulle stesse idee musicali già ascoltate e riascoltate. Questo accade in molte tracce ed è veramente frustrante per l’ascoltatore vedere bruciare quelle costruzioni sonore che all’inizio sono ben concepite ed eseguite, ma che poi non si sviluppano come dovrebbe naturalmente accadere. Tutto ciò inficia una delle prerogative che secondo il mio modesto parere dovrebbe essere il caposaldo di ogni band esordiente, ossia l’originalità della proposta musicale.
Alla fine, già dopo pochi ascolti, l’album risulta essere monotono nella sua interezza. Cosa che non si nota se si ascoltano solo un paio di brani isolati, poiché in fondo, come ho già detto, le vocals e i suoni sono abbastanza curati e moderni.
Una traccia ben riuscita, che però musicalmente non è proprio rappresentativa dell’album in quanto si discosta un po’ dal genere proposto sia per la sua cadenza più lenta che per qualche sonorità black presente, è
“The Last Dance”. Questa traccia non soffre delle problematiche sopra esposte e non a caso è la più lunga dell’intero album con i suoi 5 minuti e 51 secondi
Essendo
“Human Machine” l’opera prima di questo gruppo transalpino, c’è tempo di rimediare a tutto ciò che non funziona in questo album e li attendiamo quindi ad una futura prova di riscatto che smentisca i miei dubbi sul valore della band che comunque dimostra un buon potenziale.
Per il momento assegno ai
Kaets solo la sufficienza minima per tutto ciò che c’è di buono in questo disco e rimando a voi ascoltatori la decisione ultima di optare o meno sull’acquisto dell’opera, in funzione dei vostri gusti musicali personali.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?