I
Kpanic sono un gruppo
alternative rock di Perugia e, per quanto mi riguarda, rappresentano un’autentica “sorpresona” in un genere che ho amato follemente e che negli ultimi tempi di rado mi ha riservato sussulti emotivi veramente significativi.
In particolare, mi hanno ricordato i tempi in cui Korn, Orgy e Deadsy erano gli artefici principali di un suono straordinariamente coinvolgente e iconoclasta, capace di cancellare i rigidi confini stilistici e di sovvertire “l’ordine costituito” con la forza dell’entusiasmo e di una scintillante e sediziosa
verve espressiva.
Beh, oggi sappiamo che le cose non sono andate esattamente come ci si aspettava e che quella vibrante forma di
crossover ha smarrito troppo presto il proprio avvincente impulso creativo, ma se ascoltate attentamente “
Panic station” vi accorgerete che l’effimero fenomeno ha comunque lasciato “semi” vigorosi lungo il suo passaggio, dando origine a floridi virgulti, degni di cotanti progenitori.
La componente puramente “innovativa”, nell’opera degli umbri, è per ovvi motivi meno evidente che in quella dei loro modelli e tuttavia non è per niente facile “ispirarsi” a un
sound tanto riconoscibile e riuscire ad apparire “freschi” e trascinanti a tal punto da istigare un contatto reiterato con questo fascinoso
Ep.
Il segreto? La capacità di scrivere brani sempre avvincenti e incisivi, edificati su strutture care a impareggiabili numi tutelari (aggiungiamo all’elenco anche Filter, A Perfect Circle e The Cure …), eppure sempre parecchio fantasiose e, soprattutto, assolutamente catalizzanti.
In questo modo, anche la laringe assai
Davis-
iana (una delle voci più influenti del settore, tra l’altro …) di
Simone Pannacci s’inserisce perfettamente in un contesto musicale nervoso, mutevole e ammaliante, in grado di soggiogare i sensi fin dalla pulsante e ipnotica
opener “
Play hard”, passando subito dopo per le scansioni ritmiche danzerecce e le linee chitarristiche di “
Ana” (vagamente alla The Killers) e per la strisciante e irresistibile schizofrenia (molto Korn-
esque) della
title-track, approdando, infine, all’irresistibile magnetismo di “
U'n'Me” e dell’
anthem “
Farce (The first dawn”, in cui le suggestioni
new-wave si rafforzano e colorano ulteriormente un programma appassionante e davvero troppo breve.
Mentre premo per l’ennesima volta il tasto
play, già pregusto il momento in cui il mio apparato
cardio-uditivo potrà essere investito da nuove scosse soniche (magari in misura maggiormente corposa …) prodotte da questa solida promessa dell’
underground alternativo internazionale. Attenderò molto?
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