Non sono un grande sostenitore degli “spin-off” acustici. Ne ricordo giusto una manciata meritevoli di attenzione (su tutti
“12:5” dei Pain of Salvation,
“Damnation” degli Opeth e
“The Acoustic Verses” dei Green Carnation). La motivazione è presto detta: gli ingredienti a disposizione sono per definizione talmente pochi che o le composizioni sono tanto forti in partenza da “brillare di luce propria” a prescindere dall’arrangiamento (è il motivo per cui una canzone molto elaborata come può essere
“Something” dei Beatles funziona perfettamente anche se suonata dal solo
George Harrison alla chitarra) o il rischio di risultare ripetitivi e monotoni può minare seriamente la validità del proposito. Questo
“Faces” sta un po’ nel mezzo: ha dalla sua alcuni “assi” non trascurabili (su tutti la voce di
Frederyk Rotter, cantante della formazione noise-doom
Zatokrev, capace di rievocare timbriche che vanno dal cantautorato puro di
Cat Stevens all’immaginario del “tino di whiskey/affumicatoio” di
Tom Waits) ma anche una tavolozza limitata di colori (chitarre acustiche, archi, percussioni appena accennate e semplici armonizzazioni vocali) che, gira e rigira, alla lunga possono annoiare. Dominano, com’è lecito aspettarsi, i toni pacati (è il caso della titletrack, di
“Haze” e
“Shades”) ma non manca qualche minima apertura all’elettricità di matrice doom (
“Hands”) o alle influenze più noise (il drone di
“Mountain”). Chiude coerentemente il lavoro la traccia più elaborata del lotto,
“Pulse”, dove c’è spazio per l’intera “tavolozza” di cui sopra, con un minuto finale che risulta essere l’apice dinamico dell’intero album. Il futuro del progetto
The Leaving è ovviamente nelle mani del mastermind svizzero: gli auguro di riuscire a trovare quel “quid” che possa giustificare l’interesse verso nuove uscite.
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