Vocaboli come “dignità”, “tenacia”, “passione”, “attitudine”, perseveranza” sono cari ad ogni metallaro degno di tale qualifica, ma sull’abuso degli stessi è opportuno spendere una riflessione. Pensateci: quando inquadriamo un calciatore come “molto volenteroso, uno che sputa l’anima per la maglia” intendiamo gentilmente sottintendere che sotto il profilo tecnico non vale un soldo bucato; allo stesso modo, quando descriviamo una ragazza come “a suo modo interessante” o “dotata di una spiccata personalità”, beh… ci siamo capiti.
Pertanto, se nel tratteggiare le caratteristiche principali di un artista indugiamo con eccessiva insistenza sulla sua costanza, grinta e resilienza, il timore che talento, perizia e qualità della proposta musicale non abbondino è legittimo.
Ebbene, negli ultimi anni
Blaze è purtroppo caduto nel tristo calderone degli artisti “solo” da rispettare. Di strapparsi le vesti per album come il modesto “
Promise and Terror” (2010) o l'improponibile “
The King of Metal” (2013), con tutta la stima, non se ne parla proprio.
Dirò di più: un disco brutto, brutto, brutto in modo assurdo come l’ultimo parto del singer britannico mi aveva fatto seriamente temere che la benzina fosse ormai terminata, e che il percorso artistico si fosse definitivamente interrotto.
Ho accolto quindi questo “
Infinite Entanglement” con una forte dose di pessimismo; pessimismo corroborato da un titolo cacofonico e da un artwork di copertina -il cui soggetto ricorda in modo sinistro il
Mentulatore dei
Prophilax- che desta forte imbarazzo.
D’altro canto, chi ha seguito la carriera solista di
Bayley Alexander Cooke sa che titoli e copertine non hanno mai costituito il piatto forte della casa…
Eppure per l’ennesima volta (e per fortuna!), i miei pronostici della vigilia sono stati sovvertiti da una prestazione che riporta il Nostro ai livelli che gli competono. Già, perché è bene ricordare ai disattenti che il buon
Blaze, dopo esser stato accompagnato alla porta dai miei amati
Maiden, ha saputo sfornare diversi album pregevoli a dir poco.
E proprio ai primi due vagiti discografici “
Silicon Messiah” e “
Tenth Dimension” (a proposito di titoli e copertine brutti…) guarda quest’ultima fatica, anch’essa portatrice di sano, robusto, fumante classic heavy britannico perfettamente bilanciato tra aggressione e melodia.
I progressi rispetto all’ultima, infausta release risultano evidentissimi:
- il songwriting è di nuovo affidabile, grazie anche all’apporto di
Chris Appleton degli
Absolva, band albionica che accompagnava
Bayley live è che è stata “promossa” anche in sede di composizione e registrazione;
- la prestazione strumentale, se non trascendentale, appare senz’altro solida;
- lo stesso può dirsi della prova canora di
Blaze, che fenomeno delle corde vocali non è mai stato, ma che in questa sede mette in mostra potenza e timbro da par suo, incappando qua e là in qualche svarione ma senza scivolare nelle stecche udibili in alcune recenti registrazioni;
- la produzione, dopo gli obbrobri sonori di “
The King of Metal” (s’intuisce che non m’era piaciuto, vero?), si assesta su standard più che discreti: nitidezza, amalgama e “tiro” ci sono tutti, grazie anche all’equilibro adottato in fase di mixing.
Da cotanti fattori positivi emergono svariati brani convincenti: penso a “
Solar Wind” e “
A Thousand Years”, che ripropongono tutte le caratteristiche vincenti dei dischi sopra citati; a “
Human”, che promette sfracelli dal vivo grazie al riffing serrato che si apre all’altezza di un chorus tanto elementare quanto perfetto per essere cantato a squarciagola dal pubblico pagante; all’acustica “
What Will Come”, sorta di continuazione di “
Russian Holiday” e pregna della vena più intimista e sofferta del cantante inglese.
Prima che l’entusiasmo ottenebri il mio discernimento segnalo che non tutte le ciambelle sono uscite col buco.
Tanto per rimanere sui singoli pezzi: la linea vocale che inaugura la
title track è legnosa quanto il sottoscritto alle prese con la
Lambada; “
Stars Are Burning” si candida a peggior pezzo del lotto, con quell’incedere in mid tempo alla disperata ricerca di un groove che non arriverà mai e quel ritornello cantilenante; “
Dark Energy” palesa sin dall’incipit chitarristico uno scimmiottamento dei
Maiden malfatto e poco costruttivo.
Ad ulteriore conferma che ogni tanto il povero
Bayley creda ancora di far parte della
Vergine giungono poi i coretti “uoooo uoooo uooouooo” -spero di aver reso l’idea- disseminati lungo la tracklist. Troppi e un po’ paraculi per quel che mi riguarda.
Quale ultimo difettuccio indicherei la decisione d’imbastire l’ennesimo concept sci-fi/distopico/cospirazionista spalmato addirittura su tre (!) album e incentrato sulle implicazioni dello sfrenato progresso tecnologico e sul rapporto uomo/macchina. L’argomento sta diventando ormai una sorta di tormentone, senza peraltro che si riesca mai a raggiungere un calibro soddisfacente in termini di ricerca, profondità e impatto emotivo. Per farla breve: meglio "
Blade Runner".
Tutto ciò concesso, mi sento comunque di gratificare “
Infinite Entanglement” con un bel 7, votazione forse un pelo generosa ma data col cuore. I miei più sinceri complimenti ad un artista tornato ad elargire non solo caparbietà e coerenza, ma anche buona musica metal.
Premiatelo anche voi.