Tutto è dettato dal proprio ego, nel bene e nel male. I propri ricordi, le sensazioni, i profumi, le immagini già vissute influenzano pesantemente il giudizio personale che si ha di un qualcosa di non oggettivo, come appunto un disco. E se penso ai
Brutality, chiudo gli occhi e mi rivedo diciottenne in giro col walkman per Ostia Lido, magari sulla mia fida Atala Hop col cambio sul tubolare centrale e gli ammortizzatori a mollone, i freni a tamburo ed i cerchi in lega, che a muoverla manco Indurain. Tutto questo tramuta “
Screams of Anguish” con il seguente “
When the Sky Turns Black” in una sorta di paradiso, un qualcosa di mistico ed irraggiungibile, ed in un certo senso è proprio così, anche perché estraniandomi dal contesto questi due album sono universalmente riconosciuti come due album fondamentali del movimento death metal floridiano di metà anni ’90.
E dopo l’EP “
Ruins of Humans” di tre anni fa, il mio hype era letteralmente salito alle stelle, data l’ottima qualità di quel materiale, a quasi venti anni di distanza dal buon ma non esaltantissimo “
In Mourning” del 1996. Ma ancora una volta, le mie emozioni mi hanno sbilanciato troppo in avanti, ed il primo ascolto del nuovo “
Sea of Ignorance” mi ha decisamente deluso, lasciato esterefatto ma al contrario, negativamente: non un accelerazione degna di nota, non una soluzione ferale, niente di quella magia contenuta in “
Irreversibly Broken”, nessun assolo epico e magico. Solo la sempre più immortale voce di uno
Scott Reigel sempre più nell’Olimpo dei growlers del death metal ed un’attitudine da prendere ad esempio a reggere la baracca in un disco in cui nemmeno la produzione riesce a reggere il passo.
Per fortuna, riapprocciare lo stesso disco dopo un mesetto con un’atteggiamento diverso, della serie “boh riascoltiamolo và”, senza eccessive attese e pretese, è valso il ripescaggio in estremo dei Brutality, che dopo una lunga serie di ascolti, ma sempre in crescendo, sono riusciti a convincermi ancora una volta, pur senza mai raggiungere l’estasi del precedente EP, e figuriamoci quindi quella dei primi dischi. Fatta salva la produzione, che si conferma non all’altezza, quasi “attappata” specie nei toni medio alti, i brani scorrono via molto facilmente, anche grazie alla loro durata quasi sempre inferiore ai quattro minuti, ma nulla mi toglie dalla mente che il motivo per cui non scatta mai la scintilla sia dovuto, perlomeno in parte, al fatto che in questo disco non ci siano a differenza di “Ruins of Humans” né
Don Gates alla chitarra né
Jim Coker alla batteria, sostituito dal barbutone
Ruston “Bud Spencer” Grosse, che non se la cava niente male a dire il vero, ma rompe quella poesia di poter rivedere assieme i Brutality nella loro lineup storica.
Discorso a parte va fatto per la cover “
Shores in Flames” dei
Bathory che, in tutta sincerità, non c’entra assolutamente nulla col resto del disco per stile, durata (quasi 12 minuti) e posizionamento, prima della conclusiva e finalmente bellissima “
End of Days”. Io che sono il fan n°1 dei Bathory dei viking albums ne sono estasiato ma capisco benissimo che questa presenza stoni non poco per l’ascoltatore medio dei Brutality. In ogni caso, visto l’incipit, probabilmente sarebbe stato molto più curioso e riuscito far cantare Scott Reigel in maniera pulita per tutta la durata del brano, chissà che non salti fuori un cantante sgraziato ma efficace, sulla scia dell’indimenticabile Quorthon.
Alla fin della fiera, dopo mille mila ascolti questo “Sea of Ignorance” è riuscito a prendermi, seppur in maniera non viscerale ma che consegna in ogni caso ai Brutality la palma della coerenza d’oro e di una qualità mai scesa, nemmeno in un singolo brano, sotto la soglia della pienissima sufficienza. Anzi, è una vergogna che un disco in ogni caso più che valido di una band tra i prime movers debba ricorrere alla pur volenterosa Repulsive Echo Records per uscire.
Raccomandato in ogni caso ad i loro estimatori ed ai nostalgici del meraviglioso death metal dell’ondata Nuclear Blast di inizio anni ’90.