Gli
Headspace avevano promesso un disco “da amare” e sono stati di parola. Ci sono voluti 4 anni di attesa (“galeotto” fu, probabilmente, il ritorno in pianta stabile di
Damian Wilson nei Threshold) per ascoltare il successore di
“I Am Anonymous” ma ne è assolutamente valsa la pena.
“All That You Fear Is Gone” è il secondo capitolo della trilogia concepita dal cantante, qui incentrata sull’incapacità del “gruppo” di controllare il “singolo” individuo, teoria (non originalissima) ben descritta dalle liriche del full-length. Personalmente ho trovato questo lavoro un gradino sopra al debutto del 2012, complice una maggiore “identità di gruppo” che si traduce in composizioni complesse ma equilibrate (sempre pregevole il lavoro in studio di
Jens Bogren), con un
Adam Wakeman in grande spolvero finalmente in grado di giocarsela alla pari con il chitarrista
Pete Rinaldi.
“Road To Supremacy” comincia in punta di piedi, ma l’ugola d’oro di
Wilson (da sempre estremamente sottovalutata) non si fa attendere, per un inizio deciso e ruvido al punto giusto.
“Your Life Will Change” è un altro brano diretto, ma al contempo sfaccettato, con le tastiere di
Wakeman in primo piano.
“Polluted Alcohol” smorza i toni, con il suo incedere dettato dalla chitarra slide e dalla superba interpretazione del cantante.
“Kill You With Kindness” è un altro brano “guitar-oriented” abbastanza tirato che ha comunque nei vari ed efficaci cambi d’atmosfera più di un motivo di interesse. La breve
“The Element” prelude a
“The Science Within Us”, 13 minuti “cervellotici” ma eleganti che alternano assoli, voci filtrate, stacchi dream-theateriani e intrecci vocali di memoria vintage.
“Semaphore”, dalla disorientante introduzione pianistica, è un altro brano corale con un intermezzo da brividi.
“The Death Bell” fa coppia con
“The Element” per durata e intenzioni, ma presenta un inaspettato arrangiamento sinfonico.
“The Day You Return” inizia soffusa per diventare l’ennesimo pugno nello stomaco e anticipa la titletrack, sostanzialmente acustica e dalle innegabili influenze Yes/Genesis negli arpeggi chitarristici. Il Rhodes di
Wakeman ci accompagna nei territori più soft disegnati dalla band in
“Borders And Days” prima della conclusiva
“Secular Soul”, epica e dalle tinte cinematografiche, altri 10 minuti di classe allo stato puro che congedano definitivamente l’ascoltatore.
Il
pedigree, soprattutto in musica, non sempre è sinonimo di qualità: il fatto che
Wakeman sia “figlio d’arte” e abbia suonato con
Ozzy Osbourne, il curriculum spaventoso di
Wilson o le performance di
Lee Pomeroy con star del calibro di
Steve Hackett non necessariamente potevano garantire il successo del progetto. Quello che mi sento di dire è che gli
Headspace sono, attualmente, il più fulgido esempio del
mio ideale di progressive metal contemporaneo: studio approfondito delle fonti, rielaborazione creativa e “personale”, produzione massiccia e senso della misura (che si traduce nella capacità, non scontata, di lasciare spazio agli altri). Per me è “sì”.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?