“
Nulla è permanente tranne che il cambiamento” affermò
Eraclito.
I connazionali
Universe217, dopo oltre 2500 anni -accidenti come passa il tempo!- sembravano pronti, sin dal titolo, a suffragare la tesi del criptico filosofo presocratico.
“
Change”, quarto full della band ellenica, tradisce tuttavia le aspettative della vigilia, decidendo di non “strappare” in termini di evoluzione sonora, ma anzi preferendo un approccio conservativo, oserei dire timoroso.
Può darsi siano tutte pippe mentali del sottoscritto; eppure, dopo lo splendido “
Never” (2013) ed il riuscitissimo esperimento acustico dell’EP “
Ease” (2014), avrei scommesso su una release sorprendente ed ardimentosa da parte dei Nostri.
Così, invece, non è stato, e ci troviamo pertanto a recensire un platter perlopiù incastonato nelle coordinate stilistiche che abbiamo imparato a conoscere: musica del destino dall’approccio relativamente snello e dal forte sapore atmosferico, pervasa da un feeling riflessivo eppur animato da braci di rabbia repressa, dotata di un impianto lirico lontano anni luce dai soliti, triti clichés.
Nulla di male in senso stretto, non fosse che la tattica oltremodo guardinga finisce per riverberarsi su un songwriting sì competente, ma col freno a mano tirato. Tanto che dopo numerosi ed attenti passaggi in cuffia fatico ancora a citare un un fraseggio, un break strumentale, una melodia che spicchi sulle altre.
Peccato, perché le premesse per il discone c’erano tutte: in primis l’innegabile talento della compagine; in secondo luogo un’esecuzione strumentale più efficace e d’impatto rispetto al passato (anche grazie alle fauste scelte operate dietro al mixer); ultimo, ma di certo non meno importante, la fortuna di avvalersi di una delle migliori ugole che il
metal possa oggi annoverare, senza distinzione dei genere (musicale, non fraintendiamo).
Eh già, perché
Tania si conferma autentica fuoriclasse delle corde vocali: la
Janis Joplin del
doom lascia di nuovo basiti per potenza espressiva, personalità, timbrica ed eclettismo -a questo giro il già impressionante arsenale canoro si arricchisce di un crepitante screaming simil-
black da brividi lungo la schiena-.
D’altra parte, come evidenziato poco sopra, tanto ben di dio viene spesso svilito da composizioni parche di guizzi vincenti, forse anche a causa dell’inspiegabile parsimonia con la quale le influenze
seventies hard rock, che avevano reso speciale “
Never”, vengono distribuite lungo la setlist.
Setlist in cui le dolenti chitarre di “
Undone”, la nevrastenica linea di basso di “
Counting Hours” o il livoroso crescendo di “
Call” rimangono intuizioni sparute e circondate da fastidiosi passaggi a vuoto (sì, “
Rest Here” e “
Burn”: ce l’ho soprattutto con voi).
“
Change”, volendo esser diplomatici, può essere catalogato come “lavoro di transizione”; volendo esser schietti, appare invece opportuno parlare di occasione sprecata per ambire al salto di qualità. Ciò detto, i -pochissimi, ahimè- cultori degli
Universe217 dovrebbero comunque procedere all’acquisto senza eccessivi patemi. Gli altri, invece, farebbero bene ad iniziare dalle release precedenti.
Io, nonostante l'indole pessimista, resto convinto che il meglio debba ancora venire. Siete pregati di non smentirmi.