“Cos’hanno di buono i Ravenia?” Questa è stata la domanda che mi ha assillato durante i ripetuti ascolti della loro prima fatica discografica intitolata
“Beyond The Walls Of Death”. La proposta musicale è originale? Non scherziamo. I musicisti spaccano? No, anche se la formazione a nove un suo fascino ce l’ha (e ricorda più una squadra di calcio che una band metal). La cantante è dotata? Non mi pare, anzi. Possiamo dire che è almeno gnocca? Macché, meglio la violoncellista (tra l’altro relegata in un angolino delle foto per la stampa pervenuteci, poveraccia). E la copertina si salva? Decidetelo voi, a me non dice proprio niente (un soldato di schiena?!?). I finlandesi rappresentano la tipica situazione in cui la forma stravince sulla sostanza, in cui è il fumo ad avere la meglio sull’arrosto (se non mi credete date un occhio all’ultimo video caricato dal combo su YouTube). Non basta l’ambizione di volersi ispirare ad Hans Zimmer per “essere” uno dei compositori per il cinema più noti e apprezzati al mondo, così come non basta un quintetto d’archi “di ruolo” per dare spessore a brani modestissimi e inutilmente prolissi (che poi c’è sempre da capire dove finisce il “suonato” e dove iniziano i
“samples presi da Mordor”, come li chiamava il buon Pippo, ma questa è un’altra storia). Quello che posso dirvi con certezza è quello che troverete se vi avvicinate a questo disco: power metal sinfonico con voce femminile, atmosfere hollywoodiane, qualche sporadica micro-concessione all’elettronica meno roboante, produzione chirurgica. Tutto il resto non lo troverete (nemmeno un assolo, a meno che non mi sia sfuggito, o parti cantate in growl), perdendovi in tracce davvero troppo omogenee e simili tra loro della durata media (e ingiustificata) di 7 minuti circa. Che la
Inner Wound Recordings abbia preso un abbaglio? A giudizio di chi scrive assolutamente sì.
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