Punkettoni americani (da Boston) che con il loro quinto album, "State of Discontent", approdano alla Hellcat Records.
Il sound dei The Unseen, com'era logico aspettarsi, punta parecchio sull'impatto e su testi semplici ma "impegnati" in un contesto socio-politico, come sottolinea il classico "One, two, three... " che apre un'aggressiva e corrosiva "Weapons Of Mass Deception". Ma sopratutto i The Unseen lasciano grandi spazi di manovra alle chitarre, un aspetto, questo, che me li fa apprezzare ancor di più.
Tra i gruppi cui si può fare riferimento, troviamo sicuramente gli Anti-Flag, i G.B.H. ed i Bad Religion (beh... Brett Gurewitz si è occupato di gran parte del mixaggio, mentre la produzione è andata a Ken Casey dei Dropkick Murphys). I The Unseen mi ricordano non poco anche gli Spermbirds, una punk band tedesca fronteggiata dal vocalist americano Lee Hollis. Infatti, l'opener "On The Other Side" o "Waste of Time" avrebbero fatto la loro "sporca figura" su "Something To Prove", così come la conclusiva cover di "Paint It Black" (uno dei capolavori della coppia Jagger/Richards), dove alla voce incontriamo Dicky Barret dei The Mighty Mighty Bosstones. Un altro cantante che trova ospitalità sul disco è Lars Frederiksen, dei Rancid, alle prese di "We Are All That We Have". Eppure, come ho detto in apertura, non sono le parti vocali, per quanto sempre all'altezza, a caratterizzare "State of Discontent" ma la chitarra (vedi "Scream Out", "Dead Weight Falls" o "Social Damage") di Scott, anche uno dei principali songwriters del gruppo.
Il basso e la batteria in ogni caso danno sostanza a 14 brani rabbiosi ma facili all'ascolto, e per questo, "State of Discontent" è un album solido ed allo stesso tempo consigliabile anche ai meno avvezzi a queste sonorità.
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