Al di là della incontestabile grandezza conquistata con i
Mercyful Fate, a
King Diamond va sicuramente riconosciuto il merito di aver inserito in pianta stabile l'abusato sostantivo "concept" anche nel mondo del metal. Almeno un anno prima dei
Queensryche di "
Operation Mindcrime" o degli
Iron Maiden di "
Seventh Son Of A Seventh Son", tanto per citare un paio di eclatanti esempi.
Dopo il magnum opus "
Abigail" (1987), musicalmente eccelso, liricamente un pò ingenuo, il cantante danese replica il "format" della storia unica. Lo fa con "
Them", tipica storia da casa maledetta stile B movies, in cui il protagonista è un tenero bambino dall'ascia facile, a sua volta vittima di una nonnina inchiodata sulla sedia a rotelle ed appena uscita dal manicomio. La sua colpa? Aver messo fine al proprio matrimonio decapitando il coniuge. Tutti gli ingredienti per il classico teatro dell'orrore, che sicuramente mettono di buon umore chi sazia i propri sensi a suon di heavy metal e pellicole ad alto tasso ematico.
Musicalmente parlando, il suono di "Them" appare immediatamente più crudo e "cervellotico" rispetto a quello della fiaba demoniaca "Abigail", ricordando in alcuni punti certe dinamiche dei già citati Mercyful Fate. In tal senso, "
Welcome Home" è un turbinoso maelstrom dalle perniciose tendenze maligne, che visualizza quasi in "cinemascope" l'ansia e l'angoscia del ritorno di "grandma" (la succitata nonna) dall'istituto psichiatrico. Ovviamente, rispetto a "
Melissa", si avverte meno puzza di zolfo, e più profumo di spettacolarizzazione a buon mercato, ma non si pensi affatto ad un cedimento in fatto di concessione commerciale. Siamo negli anni 80, l'horror tira sia a livello editoriale (
Stephen King) che sul grande schermo (
Carpenter,
Craven ecc.), tuttavia non si può certo additare Diamond di bieco arrivismo, semmai gli si deve riconoscere l'abilità di saper "cogliere l'opportunità" giusta al momento giusto.
La sua passione per il "genere" risale infatti agli albori della carriera, ed i capolavori griffati Mercyful Fate sono sempre lì, ad eterna testimonianza di tale predisposizione. Il plot narrativo si dipana tra strani intrugli a base di improbabili tisane (la melodica "
Tea"), presenze infernali ("
The Invisible Guests") ed omicidi di famiglia ("
Bye Bye Missy"), con King che si sbizzarrisce nella dissociante interpretazione dei vari personaggi. Non mancano tracce più vicine al thrash tecnico, come "
The Accusation Chair", oppure reminiscenze quasi doom, vedi "
A Broken Spell".
Andy LaRoque è il solito fenomeno della sei corde, e dipinge uno struggente affresco gotico nella strumentale title-track, che sfocia nelle tenebrose suggestioni grandguignolesque di "
Twilight Symphony". Sembra la fine della storia, con la nonna giustiziata dal nipotino in una sorta di nemesi che si ripete: la cara ascia torna protagonista, ed arma l'implacabile "manina" del piccolo boia.
Ma una strana telefonata dall'oltretomba costringerà il giovane killer, alcuni anni dopo, a tornare sul luogo del delitto.
Il sequel verrà quindi svelato tra le canzoni di "
Conspiracy" dell'anno successivo (1989), un superlativo lavoro che segnerà un approccio più melodico, ed un suono maggiormente guidato dalle tastiere.
Come ampiamente prevedibile, "Them" ottiene un lusinghiero successo di pubblico (ma anche di critica) e, col suo 89esimo posto nella classifica di Billboard, sarà ricordato come l'album più venduto negli States. Speriamo che il 2023 sia finalmente l'occasione del ritorno di King Diamond sul mercato discografico, con quel "
The Institute" pluririmandato che, già dal titolo, promette rinnovati brividi di alta tensione.