L’album omonimo è l’ultimo full-lenght, nonché ultimo sforzo creativo, degli
Alice In Chains con
Layne Staley.
A differenza dei precedenti dischi, dove nonostante le tematiche e il mood generale, influenzato dalla tossicodipendenza di Layne, la band era sempre riuscita a trovare un’alchimia quasi perfetta tra testi e musica, sapendo dosare le diverse influenze e soprattutto sapendo offrire anche momenti, squarci, di luce, con melodie che sembravano quasi aprirsi alla speranza, in questo disco invece si fa un passo giù, verso lidi disperati e cupi. È sicuramente il disco meno facile, e, se si vuole, più profondo della band.
L’atmosfera generale del disco è pesante, angosciosa, e di conseguenza le melodie, anche per via del fatto che stavolta è
Layne Staley ad occuparsi quasi interamente dei testi delle canzoni, se si eccettua tre pezzi a firma Cantrell e da questi cantati.
Un ulteriore contributo è la copertina del disco, per questo anche conosciuto come “
tripod”, per via del cane a tre zampe. L’animale, di proprietà di
Jerry Cantrell, è raffigurato con uno sguardo triste, senza un pezzo fondamentale del proprio corpo. Un po’ come gli
Alice In Chains, che ritrovano Layne Staley dopo un periodo passato in riabilitazione ma che, proprio durante le registrazioni del disco, ricadrà nell’abisso. La registrazione del disco prende tempo e, a detta di Cantrell, è molto dolorosa, per via delle condizioni di Layne, definite terrificanti.
Il trittico iniziale “
Grind”, “
Brush Away” e “
Sludge Factory” hanno vistosi echi sabbathiani e psichedelici, ricchi di effetti e sovraincisioni. La stessa voce di Layne è diversa, più sofferente, più oscura.
Con “
Heaven Beside You” si torna a certe melodie del passato, la canzone tratta dell’amore finito di Cantrell per la sua fidanzata e nel contesto generale del disco spezza la sua atmosfera plumbea, pur non potendosi definire un pezzo felice.
“
Head Creeps” ci riporta dalle parti dell’infelicità, con un sound distorto, trasfigurato, con fraseggi di chitarra che incutono timore, minacciosi e cattivi come sono.
“
Again” è uno dei pezzi più angosciosi e malati mai composti dagli
Alice In Chains. La voce di Layne entra decisa, stentorea, non ha voglia di scherzare, e il tema portante ancora una volta è la dipendenza:
“Hey, I know I made the same mistake, yeah
I, I won't do it again, no”
“
Shame In You” è una splendida ballata che su una melodia dolce disegna una confessione in piena regola. È Layne che parla a cuore aperto:
“And I must say, I was stupid, selfishly she consumed, yeah”
“
God Am” ha un ritmo sincopato sul quale Layne imbastisce una sorta di dialogo con un Dio che non ascolta, che non perdona, che manda dolore. La canzone è nobilitata da un grande assolo di Cantrell.
“
So Close” abbassa leggermente il tono dell’album, per quella che può essere considerata uno dei rari riempitivi della carriera della band.
Con “
Nothin’ Song” si torna a fare sul serio, mood plumbeo, carenza di immediatezza, anche se dal punto di vista tecnico notevole è il songwriting, capace di dilatare una canzone senza renderla banale e ripetitiva.
Il finale ci regala due perle. “
Frogs” è una canzone lenta, onirica, psichedelica, una lenta discesa, un pezzo dall’atmosfera incredibile.
La conclusiva “
Over Now” è profetica. Inizia con un breve intro, dove viene suonato il silenzio, poi le chitarre entrano con un tono più aperto e allegro, sarà perché c’è Cantrell alla voce, mentre il testo dice tutt’altro:
“Guess it's over now, I seem alive somehow
When it's out of sight, just wait and do your time”
Il finale è triste e malinconico. Eh si! Adesso è proprio finita. Il disco rappresenta il canto del cigno degli
Alice In Chains, della leggendaria band di
Layne Staley e
Jerry Cantrell. Il primo pian piano si ritirerà dalle scene, per tornare alla ribalta il
19 Aprile del 2002, quando fu ritrovato senza vita nel suo appartamento, con ancora la siringa infilata nella gamba, morto da due settimane. Fu visto vivo per l’ultima volta la sera del 4 Aprile da
Mike Starr, l’ex bassista, anche lui destinato a morire di overdose nove anni dopo.
Jerry Cantrell prima darà vita a due dischi solisti, poi riformerà la band, con ottimi risultati a dir la verità, ma senza l’amico Layne, la cui leggenda vive nel ricordo dei fan, di chi quell’epoca d’oro del rock l’ha vissuta e ancora ne porta i segni.