Sono poche le band che possono permettersi di concepire un album “on the road” e registrarlo in soli nove giorni ricorrendo in minima parte a delle sovra-incisioni. I
Knifeworld di
Kavus Torabi, benché ambiziosi, purtroppo non fanno parte di questa ristretta cerchia di fenomeni. Non bastano una formazione atipica (un ottetto molto pittoresco con fagotti, sassofoni, percussioni e chi più ne ha più ne metta), un’immagine “fricchettona” mutuata direttamente dagli anni più psichedelici del “Peace & Love” o l’esperienza indiscutibile del sopraccitato mastermind di origine iraniana. In
“Bottled Out Of Eden” i momenti buoni non mancano (penso all’introduttiva e colorata
“High/Aflame”, ai frammenti più bucolici e folkloristici di
“Foul Temple” o
“Secret Words” o alla terzinata
“The Deathless”) ma è tutto raffazzonato, poco fluido e un po’ abbandonato a se stesso, in particolare nelle linee vocali non riuscitissime (da sempre marchio di fabbrica della band) e in alcune trovate strumentali inutilmente cervellotiche (
“Lowered Into Necromancy” o
“A Dream About A Dream”), un goffo tentativo di risultare moderni e nostalgici allo stesso tempo senza mai riuscire veramente a centrare l’obiettivo in nessuna delle due direzioni. Ecco allora che brani potenzialmente interessanti come
“The Germ Inside”,
“I Am Lost” o
“I Must Set Fire To Your Portrait” sembrano non finire mai nonostante la durata tutt’altro che titanica. Le idee sono tante, troppe, non sviluppate a dovere (com’è tipico dei “live-in-studio” più frettolosi), e l’unico risultato garantito è un ascolto pesante e a tratti ansiogeno. Il concept, legato alla morte delle persone care, di sicuro non aiuta a rendere particolarmente appetibile la proposta, ma è davvero un peccato, considerando il pedigree artistico di
Torabi (già membro di The Monsoon Bassoon, Guapo e Cardiacs), trovarsi tra le mani “solo” questo. Sufficienza politica, ma non nascondo che mi aspettavo molto di più.
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