Copertina 7

Info

Anno di uscita:2016
Durata:55 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. TOUCH
  2. PEDAL TO THE METAL
  3. IN R BLOOD
  4. SAID IT ALL
  5. WRITING ON THE WALL
  6. RAINBOWS AND HURRICANES
  7. LOVE WILL WIN IN THE END
  8. RAIN OF FIRE
  9. IN YOUR ARMS
  10. IM THE NYTE
  11. LOST IN YOU
  12. ALL I WANNA DO

Line up

  • Mark Mangold: keyboards
  • Al Fritsch: vocals, guitars, keyboards, bass
  • Tommy Denander: guitars
  • Daniel Palmqvist: guitars
  • Ken Sandin: bass
  • Paul St. James: bass
  • Alessandro Del Vecchio: bass
  • Pontus Engborg: drums
  • Peter Yttergren: drums
  • Francesco Jovino: drums
  • Kenny Aronoff: drums
  • Fiona: vocals on “In Your Arms”
  • Kayvon Zand: vocals on “In the Nyte”

Voto medio utenti

E’ sempre difficile analizzare il lavoro dei propri “eroi”. Un’affermazione che ho palesato in più di un’occasione, ma che dovendo esaminare il nuovo lavoro dei Drive, She Said deve assolutamente essere rispolverata. Sarò eternamente grato a Mark Mangold per i favolosi momenti passati “insieme” fin dai tempi degli American Tears, passando per Touch e The Sign, senza dimenticare di citare l’illuminata collaborazione (tra gli altri) con Michael Bolton, culminata con la magistrale “Can’t turn it off”, per quanto mi riguarda un efficacissimo archetipo di come deve suonare un pezzo di rock melodico.
Considero, poi, “Drive, she said” e “Drivin’ wheel”, due autentici capolavori di AOR yankee a ventiquattro carati (seguiti a ruota dal terzo “Excelerator”), istoriati dalle fatate tastiere di Mangold (secondo, nel genere, probabilmente solo a Sir. Giuffria) e innervati dalla laringe virile di Al Fritsch, edificata sulle timbriche ineffabili di Lou Gramm e David Glen Eisley, per una partnership che evoca la classica metafora del “marriage made in heaven”.
Così, anche se i paragoni, soprattutto quando le epoche sono molto diverse, appaiono spesso ingenerosi per definizione e andrebbero gestiti con molta cautela, devo ammettere di fare un po’ fatica a riconoscere nei solchi di “Pedal to the metal” il “gruppo” che fu capace di regalarmi sensazioni tanto intense e memorabili.
Niente di riconducibile a una “cocente” delusione, sia chiaro, in un programma che presenta svariati momenti di notevole suggestione, e tuttavia l’impressione netta di un dischetto troppo discontinuo e incompiuto per ambire al gotha del settore.
Innanzi tutto è necessario rimarcare la prova poco brillante di Fritsch, talvolta davvero in difficoltà nel sostenere un songwriting comunque non sempre ispiratissimo nonché, come anticipato, a volte leggermente incoerente. Evidentemente la voglia di “esplorare” di Mangold non si è esaurita, ed ecco che se “Rainbows and hurricanes” sembra voler addirittura insidiare il feudo di gente come 30 Seconds to Mars, con risultati tutto sommato intriganti, meglio sorvolare sulle tentazioni “industriali” e “danzerecce” di “IM the nyte” e “Lost in you”, assolutamente fuori luogo e fuori fuoco (almeno quanto fu a suo tempo “Try to let go (FukUUp)”, inedito della raccolta “Dreams will come”).
Ciò detto, concentriamoci sul materiale più “consono” al nobile marchio, acquisendo, al netto degli affanni vocali, cospicue scosse emozionali da “Touch” (una celebrazione, finanche un pizzico stucchevole, del passato di Mark …), “Pedal to the metal” e “In R blood”, brani capaci di muoversi con raffinatezza negli spazi pomposi delle sonorità adulte, con quei cori che sembrano fatti apposta per salire incontrastati nella termosfera della musica.
Il romanticismo di “Said it all” riserva un’altra discreta scossa e con un Al in altre condizioni di forma si sarebbe potuto parlare di un highlight dell’albo, appellativo riservato, nel medesimo ambito espressivo, a “In your arms”, una classica “ballatona” impreziosita dalla voce di Fiona (Flanagan … amica di lunga data della band e punta di diamante di una corposa lista di ospiti prestigiosi) e talmente “ottantiana” da suggerire (e non è l’unica circostanza, invero …) un recupero dal forziere “storico” del duo.
Writing on the wall” è un appassionante e ruggente hard-pomp tra Styx e Deep Purple, “Love will win in the end” ha nerbo e piace senza strabiliare e lo stesso si può affermare per la drammatica “Rain of fire”, mentre “All I wanna do” estrae dal mazzo la logora carta dell'acoustic slow per tentare di vincere una partita verosimilmente diventata, con i mezzi attuali dei Drive, She Said e la spietata concorrenza della scena contemporanea, poco meno che proibitiva.
Insomma, Lei Dice di Guidare, e in fondo sono felice di constatare che la macchina a tratti marcia ancora piuttosto spedita … da qui ad essere anche competitiva per la vittoria finale, beh, ahimè, ce ne passa …
Recensione a cura di Marco Aimasso

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