Questo album di esordio di questa artista cagliaritana nasce dal ripescare idee, spezzoni musicali e brani quasi completi composti per vari fini nel corso degli anni dall’abile chitarrista
Simona Soddu. In alcuni casi si tratta di brani composti per la sua melodic death metal band
Grim Drowsiness, mentre altri brani sono quasi del tutto nuove composizioni impostate su abbozzi di passate idee musicali. Si tratta di un album totalmente strumentale dove la chitarra gioca un ruolo determinante sia in fase ritmica che solista. Da quanto detto finora avrete sicuramente capito che siamo in presenza di un album del genere guitar hero, anche se in questo caso si tratta di una stupefacente eroina e scusatemi il gioco di parole. Essendo inoltre una raccolta di materiale sonoro che proviene da un periodo di tempo abbastanza lungo e da varie fonti di ispirazione, è lecito attendersi un album variegato che non segue un discorso musicale univoco o un concetto specifico anche se pregno di suono di chitarra. Tutto ciò non è neanche più di tanto celato dall’artista che infatti ha scelto il termine inglese
“Leftovers” (resti, avanzi, scarti) per intitolare il suo lavoro. Personalmente, in presenza di tali lavori, preferisco questo approccio variegato su più territori musicali che un disco monocromatico basato su un solo genere musicale, ma questa è una mia considerazione personale che può non trovare d’accordo molti di voi. In ogni caso, il metal è il principale riferimento musicale di questo disco, come
John Petrucci e il progressive sono la principale fonte di ispirazione per
Simona Soddu.
Molti dischi strumentali degli osannati colleghi maschi, mostri della sei corde, vengono nettamente superati da questo album di
Simona Soddu e ciò è dovuto ad un semplice ingrediente: il sentimento. La fredda tecnica sullo strumento può fare la gioia dell’appassionato chitarrista che vuole migliorare a sua volta la sua e vuole cimentarsi a sfidare o emulare il suo maestro preferito, ma il fruitore musicale medio dopo un po’ si annoia di ascoltare solo virtuosismi e abbandona l’ascolto cercando una musica che lo coinvolga più nelle viscere. Per ottenere questo da un disco strumentale basato principalmente sul suono della chitarra, occorre che l’artista comunichi feeling all’ascoltatore e lo trascini con sé, là dove il brano acquista significato tramite le magiche note della chitarra. Questo disco di
Simona Soddu segue proprio questa semplice ricetta. Seppure strumentale è ricco di sentimenti, di esperienze di vita vissuta in positivo e negativo, di storie sognate e ancora non vissute, di speranze future. Spesso i titoli esprimono chiaramente i sentimenti coinvolti e messi in musica, altre volte ci viene concessa da
Simona una libera interpretazione della sua musica. Del secondo gruppo fanno parte
“At the Club”,
“East” e
“The B Factory” anche se per questo brano potrebbe esserci un’interpretazione se con quel titolo,
Simona vuole indicare l’acceleratore di particelle che produce i mesoni B che vengono studiati per capire come si è originato l’universo e perché esso sia composto da materia e che fine abbia fatto l’antimateria che si era originata insieme alla materia subito dopo il Big Bang. Del primo gruppo invece posso citare
“Follow the White Rabbit” dove la musica serrata, opprimente e sincopata esprime al meglio il dramma della scelta esistenziale di
Neo (protagonista del film Matrix) di seguire il covo del Coniglio Bianco e andare alla scoperta dell’ignoto o tornare alla sua vita normale;
“2000 Reasons to Hate You” dove il veloce assolo esprime tutta la rabbia che si sfrena dopo aver puntualizzato in musica tutte le ragioni per le quali si è scatenata;
“Burn Out” dove le cascate di note e gli effetti utilizzati esprimono quello stato d’animo legato al sovraccarico cerebrale che può sfociare nell’esaurimento nervoso.
“Blank” ci trasporta in un mondo favoloso dove paesaggi meravigliosi infiniti e incontaminati sono pronti ad accoglierci per esplorare con stupore la bellezza del creato.
“Unconscious” ci proietta in un viaggio introspettivo dove, in un sogno o in una esperienza subconscia, viene ripercorsa la vita passata.
“Leave the Light On” trasmette drammaticamente in musica lo stato che si prova quando le nostre paure al calare della notte iniziano a tormentarci e a sopraffarci se non lasciamo che una luce ci guidi e ci aiuti ad esorcizzarle. Con
“It's OK to Be Yourself” Simona raggiunge la pace con se stessa interpretando con un suono più pacato e tranquillo della sua chitarra la consapevolezza che in fondo il lavoro compiuto da essa stessa giunge al traguardo prefissato. Con
“Farewell” Simona si congeda da noi e il suono della sua chitarra acustica è il giusto commiato con il quale ci premia per l’ascolto del suo lavoro musicale.
Da un punto di vista prettamente musicale il disco è molto bello e anche se la chitarra gioca ovviamente un ruolo primario in ogni traccia, i brani sono ben concepiti e strutturati e il suono degli altri strumenti si amalgama perfettamente con quello delle chitarre. In special modo le parti di tastiera sono fondamentali per la riuscita del risultato finale. A questo punto non mi resta altro che fare i complimenti a questa artista che è un patrimonio per la nostra nazione sia in quanto musicista che come donna. Dico questo perché, nonostante l’Italia si reputi di essere una delle potenze mondiali, vede ancora le donne giocare un ruolo da comprimario ed essere attenzionate solo per le loro doti estetiche, quando invece c’è molto altro da apprezzare in loro.
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