Quanto mi girano le scatole quando, sul finire di una recensione, va via la luce... e sei costretto a riscrivere tutto, perdi tempo, non ti verrà mai più bene e fluida come la prima volta e maledici il momento in cui non hai usato Word col salvataggio automatico e, nonostante tutto, continui a non usarlo. Tanto che, con il temporale che infuria, se risalta la corrente un'altra volta scordatevi la recensione del nuovo
Iron Savior, mi limiterò a mettere il voto... ufff... riproviamo!
Dunque, dicevo che dopo soli due anni di attesa, peraltro con il 2015 bello pieno grazie alla pubblicazione del bellissimo "
Live at the Final Frontier" e della bieca e pessima operazione artistico-commerciale di “
Metropolis 2.0”, ossia la ri-registrazione del disco più brutto della loro carriera, leggi pure “osceno”, che non è stato assolutamente salvato da una migliore produzione ed una ritoccatina alle linee vocali, ecco tornare Piet Sielck col nuovo album da studio “
Titancraft”, ancora su
AFM Records, ancora su direttive power metal, e nuovamente su buoni livelli seppure questa volta non siamo all’altezza dei recenti “
The Landing” o “
Rise of the Hero”, senza andare a scomodare i capolavori del passato.
In effetti in questo episodio i dejavu e la sensazione di aver messo su qualcosa degli
Helloween o dei
Gamma Ray appaiono qua e là (sono più del solito, direbbero i maligni…) come avviene sin dall’opener omonima che ci fa canticchiare immediatamente “
Tribute to the Past” della band capitanata da Kai Hansen, ed in generale lungo i suoi 51 minuti si avvertono dei cali qualitativi assenti nelle ultime release, dovuti a chorus decisamente poco convincenti, tipo “
Gunsmoke” che però ci offre un finale morriconiano decisamente curioso e divertente, o la successiva “
Beyond the Horizon”, assai raffazzonata e quasi un maldestro collage di pezzetti assemblati alla bell’e meglio che presi singolarmente non suonano affatto male ma appaiono poco armoniosi e mal amalgamati tra di loro.
Alla luce di questo “Titancraft” rimane in ogni caso un album decisamente solido, con brani davvero trascinanti come le anthemica “
The Sun won’t rise in Hell” e “
Brother in Arms”, la debordante “
Strike Down the Tyranny” e la malinconica “
I Surrender”, che riesce davvero bene ad evocare l’angoscia di questo futuro desolante a cui siamo condannati, narratoci ottimamente dalla band ed illustratoci in maniera magistrale da una cover stile Star Wars davvero magnifica.
Tra gli altri brani buoni ma non eccelsi, ci sentiamo invece in dovere di segnalare la trascinante "
Way of the Blade", probabilmente l'highlight del disco, seguita da un'ottima "
Seize the Day", con il vocione di Piet inossidabile e veramente identico a quello che venti anni fa ci emozionava sull'album omonimo.
Da segnalare una produzione strepitosa (quindi tra dieci anni non ci sarà un “Titancraft 2.0”) ed una prova assoluta ad opera dei compagni di viaggio di Sielck, ovvero un
Kustner alla solista in vero stato di grazia e la coppia d’oro alla sezione ritmica
Eckert-Nack che ormai da due decenni viaggia una spanna e mezza al di sopra di tutti gli altri.
In definitiva un disco molto buono, che non regge il livello dei suoi predecessori, ma mica è sempre domenica: “Titancraft” è “solamente” un luminoso e soleggiato sabato, alla faccia di questo giovedì da cani che mi ha costretto a riscrivere daccapo la recensione e che, come volevasi dimostrare, non è venuta fuori bene come la prima.
Al contrario, però, questo "
Titancraft" pare il classico disco che "cresce con gli ascolti": restate sintonizzati che tra qualche settimana ci ripassiamo!