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Neverworld sono uno di quei gruppi che, probabilmente, visto dal vivo per una mezz'oretta potrebbe portare l'ascoltatore a volerne approfondire la conoscenza, magari acquistando un CD o andandoseli a cercare su internet.
Il mio consiglio, se mai un giorno doveste trovarvi al cospetto di questi ragazzi in sede live, è il seguente: godetevi il concerto, saltellate felici per un po' e va bene così. La proposta del combo inglese, infatti, è una riproposizione di cliché metallici di chiara derivazione Priest, che poco hanno da dire se non sono più che efficaci o se a suonarli non sono i Judas stessi.
Il disco si barcamena tra alti e bassi, con qualche brano più trascinante ed altri che si perdono un po' nel saltellare dei mid tempos, ma le pecche del disco non risiedono tanto nel songwriting, quanto nei due aspetti che, solitamente, dovrebbero portare un album metal ad essere applaudito: voce e chitarre.
La voce è molto vicina a prendersi l'etichetta di "inascoltabile": pretenziosa, con un timbro non certo memorabile e spesso imprecisa a livello di intonazione. Appartenendo al chitarrista (e immagino mastermind della band), la soluzione è presto trovata e sarebbe semplicemente quella di mettere un cantante degno di questo nome dietro il microfono. Basterebbe quello per alzare il voto di mezzo punto.
Le chitarre sono ben suonate. Niente di clamoroso, ma chi ha in mano la sei corde sa cosa deve fare. Il problema è che lo fa una volta, due, dieci, mille e l'ascoltatore finisce per cercare un metodo per porre fine a tutto ciò.
Rimandati senza appello, insomma, anche se con qualche accorgimento non nego che potremmo avere di fronte una band interessante. Vediamo cosa sapranno offrirci in futuro.
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